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Volo radente ore dieci

Da Gio65 @giovanniparigi

La notizia aveva preso il posto di qualsiasi altra chiacchiera. Angelo si era buttato da un viadotto dell'autostrada. Tutti lo conoscevano, ma solo pochi avevanopiegato labbra e testa in segno di rammarico le volte che al bar o sul sagrato della chiesa si era parlato di lui e della sua vita.

Ragazzino esemplare, adolescente sereno e uomo impegnato in qualsiasi iniziativa che soccorresse il prossimo o potesse renderlo felice, anche se per poco. Non c'era uomo o donna che si fosse lamentato di una qualche sua azione. Il parroco lo aveva eletto sin da piccolo a lettore del Vangelo domenicale. Fino alla trentina la sua vita era stata sui binari della bontà, onestà e gratuita ne fare il bene, finché la locomotiva del destino e il suo segreto macchinista non previdero una fermata del tutto inaspettata in un negozio di animali.

Lo gestiva un'avvenente signora a lui coetanea. Angelo si era fermato al negozio per osservare un bellissimo esemplare di Ara di cui s'invaghì. Le visite al negozio si fecero via via sempre più frequenti e il desiderio di scioglierlo dal trespolo a cui era legato sempre più forte. Durante queste visite ebbe modo di conoscere la titolare e stabilire un'amicizia che lentamente divenne passione. Angelo riuscì a donare la libertà al pappagallo portandoselo a casa dopo averlo acquistato, ma perse la sua: prima si fidanzò, poi convolò a nozze con grande gioia della comunità che da sempre aveva frugato nella sua vita affettiva di scapolo. Nessuno capì che la moglie e titolare del negozio aveva, con le sottili reti della sensualità, catturato e incatenato il suo più bell'esemplare.

Il matrimonio fu una scelta quanto mai infelice. Angelo non seppe mai farvi fronte. Lui sapeva dedicarsi agli altri, non all'altra sebbene moglie. Imboccò prima il tunnel dei litigi, poi quello dei tradimenti reciproci e infine quello dell'alcool. In poco tempo di Angelo non ci rimase che il nome, perchè spesso si trovò coinvolto in risse tra ubriachi, in furti e in truffe. I suoi anziani genitori non ressero al dolore e prima la madre, poi il padre morirono, lasciandogli un'onesta eredità che Angelo sperperò con le prostitute e l'alcool.

Uscito dal tunnel dell'alcolismo, godette di pochissimi giorni di luce, perché di lì a poco la sua mente trovò rifugio nella caverna tetra della follia. Fintanto che non lo rinchiusero in una struttura sanitaria gridava a tutti di essere non solo Angelo, ma un angelo. Non crediate che tutti ridessero della sua follia. Quelli che erano stati da lui beneficiati sospettarono che fosse tutto vero ricordando il tempismo con cui li aveva soccorsi. Gli altri al sentire che da giovane, nella sua testa, prima di addormentarsi, udiva fortissimi squilli di tromba, ai quali lui rispondeva accendendo la luce e consultando la Bibbia per conoscere il messaggio, si sprecavano in battute. Pochi a lungo andare cominciarono a dire:”Povero Angelo che fine hai fatto!”.

Quando fu ricoverato, solo i parenti più stretti andavano a trovarlo, i quali via via che le sue condizioni miglioravano si rallegravano, come si rallegravano gli infermieri e i dottori nel leggere le sue poesie, segno, quest'ultimo, di una normalità oramai alle porte. Un dottore in particolare gli fu molto vicino e si preoccupò di raccogliere in un volume tutti i suoi versi e pubblicarli. La silloge, titolata dallo stesso Angelo “Volo radente ore dieci", ottenne un discreto successo editoriale, tanto che una sua poesia fu letta anche in un programma radiofonico nazionale. Si tratta di “Pane azzimo” e questo è il componimento

Sull’altare di pietra

offrono pane azzimo

sacerdoti muti

in preziosi paramenti logori.

Svettano campanili spogli

per una liturgia del silenzio

di minuscoli cuori fedeli

tra acuti archi di carne

ed essenziali scrigni lignei

intrisi di tenere cere.

Ardono fiammelle centesimali,

spiccioli quotidiani

di vedove evangeliche

per un quotidiano eucaristico

di vele lontane

dall'onda fredda

del salterio teologico.

Purtroppo la poesia non ridette ad Angelo il suo passato, ma gli dette solo un'enorme nostalgia della stesso. Fu con l'auto che raggiunse il viadotto autostradale più alto e fu senz'ali che da lì si gettò stringendo in mano una copia di “Volo radente ore dieci” . Quel che resta di Angelo è solo una fotografia che lo ritrae con un cielo azzurro alle spalle. Così sembra abbia deciso un fotografo a cui fu chiesto scegliere la migliore foto per la lapide. “È quella più a fuoco” disse.


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