Scena del film "I Maniaci" di Lucio Fulci (1964)
La settimana scorsa, la domenica di Pasqua, me ne stavo tranquilla a casa nel mio paesino ligure. Ero in cucina a chiacchierare con mia madre e sentivo ridere a squarciagola mio padre che ne se ne stava chiuso in salotto. Alla terza risata sonora sono scattata dalla sedia per capire cosa stesse succedendo. Sono entrata in salotto, mio padre steso sul divano quasi con le lacrime agli occhi a guardare la televisione, dove veniva trasmesso un film in bianco e nero. Lui non mi ha sentito entrare, io ho fatto in modo che non se ne accorgesse. Ho giusto aperto la porta tanto da vedere cosa avesse scatenato l’ilarità paterna. Era tanto che non lo sentivo ridere così. Sono rimasta a guardare quelle immagini, vedevo attori di altri tempi, sentivo musiche di altri tempi, riconoscevo Walter Chiari, Vianello, la mitica coppia Franco e Ciccio. Ma io quel film non lo avevo mai visto. Sorridevo a quelle scenette da commedia italiana, mentre mio padre per poco non si ammazzava a terra dalle risate.
La commedia si chiamava “I maniaci”. Me lo ha detto dopo, quando mi ha scoperto a sbirciare dalla porta. Si è alzato dal divano, mi ha guardato con quel faccione strasorridente e mi ha detto: “Questo è un capolavoro! Non ne fanno più film così…che spettacolo!”.
Così la mia testa ha cominciato a vagare in quelle stanze in bianco e nero…in quei tempi che appartengono alla generazione dei miei genitori e che io non ho mai vissuto. Io vivo questo tempo, un tempo maledetto, sfigato, grigio, triste, veloce, frenetico e stressante. Un tempo dove film del genere fanno sorridere perché ormai oggi ti aspetti effetti speciali anche in una commedia…
Vorrei anch’io sbellicarmi dalle risate come fa lui davanti a un film in bianco e nero, ridere della vita anche quando questa sembra voglia toglierti tutto, fare le cose con calma come faceva lui e la sua generazione…perché, tanto, che fretta c’è?
Invidio gli anni 60′ e 70′. Li invidio senza conoscerli, senza averli mai vissuti. Ma conosco le persone che ne hanno fatto parte, da mia nonna ai miei genitori. E mi incanto quando mi raccontano dei loro “tempi d’oro”, del tempo che scorreva piano, delle domeniche di Pasqua passate insieme a giocare a carte o a passeggiare al mare, senza correre, senza ansie. Il massimo era mangiare un boccone insieme, senza troppi sfizi perché non c’erano abbastanza soldi e farsi una passeggiata per digerire quel poco che si era mangiato. Non c’era la televisione con mille canali, ce n’erano dieci forse con pochi e semplici programmi, non c’era internet, non c’erano i telefonini. Come dice mio padre, “Non avevamo niente, ma avevamo tutto”. Oggi abbiamo tutto, ma ho come l’impressione che in realtà non abbiamo proprio nulla, se non lo stress, la foga, la necessità di dover fare mille cose anche nei momenti di relax. La necessità di dimostrare qualcosa, sempre e comunque.
Questo week end mi sono imposta di non fare nulla. Mi hanno chiamato per uscire, ma io preferisco poltrire in casa. Che poi ho appena finito di stirare e ora mi metto a scrivere…non sto di certo a dormire sul divano! Ma mi sono imposta di fare le cose con calma. E medito su quanto sarebbe importante per tutti fermarsi ogni tanto, spegnere l’interruttore che attiva la nostra mente e ci fa pensare a mille cose nello stesso istante. Come sarebbe bello poter rallentare, godere di ogni cosa senza ansia, senza pensare alla cosa successiva da fare perché altrimenti non ti godi nulla e la tua vita passa alla velocità della luce. E soprattutto senza pensare se quello che fai è cool, in linea col momento, se fa figo oppure no…ma chissene!
Mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo per vedere davvero come i trentenni da allora se la godevano. Ho chiesto ai miei, per curiosità. J
Lavoravano come noi o forse più di noi, si accontentavano di cose semplici e ne erano felici. Sabato sera in pizzeria ogni tanto, se c’erano i soldi. Altrimenti a casa di amici. Si stava insieme, si parlava, si passeggiava, si sorrideva alla vita solo perché si era li, a passeggiare. Scusate se insisto con il passeggio, ma sembra anche questa una pratica di altri tempi, perché il ritmo per forza è lento e quindi non ci è congeniale. E’ molto meglio correre per la strada, sfrecciare con il carrello al supermercato, suonare al semaforo rosso come se fosse colpa sua se è rosso e urlare al tipo davanti che ci ha messo mezzo secondo in più ad accelerare quando è scattato il verde. Sbuffare se la metro non spacca il minuto, se il tipo davanti alla fila all’edicola ci mette troppo a scegliere il giornale, se il cameriere a cena ci serve la cena con 5 minuti di ritardo, come se dovessimo andare da qualche parte invece che stare tranquilli a tavola a godersela!
Ma perché corriamo così? Chi ce lo fa fare? Come mai la società si è trasformata in un annientatore del tempo altrui? Le cose vanno per caso meglio così? E’ davvero aumentata la produttività globale?
Io questa mattina ho acceso il pc e ho controllato le e-mails del lavoro. Me lo ha chiesto qualcuno per caso? No. E allora perché l’ho fatto? Perché sono una pazza. Corro sempre, la mia mente non sta mai ferma, non ci riesce.
Mi domando cosa succederebbe se tutti rallentassimo. Se non ci fosse internet, se non ci fossero i telefonini, se alla tv ci fossero solo dieci canali…come lo passeremmo il tempo, come gestiremmo la nostra vita?
Anche i film sono cambiati. Sono un’appassionata di cinema e per questo il paragone mi viene facile, ma un tempo le trame erano più coinvolgenti e i ritmi più lenti, oggi è tutto un effetto speciale e quando vedi i titoli di coda ti domandi: “Ma è già finito?”. Sembra tutto una corsa a chi fa la cosa più veloce e più bella, e al diavolo la sostanza. Come nei film, così nella vita.
Una volta c’erano i varietà al sabato sera, non esistevano reality o grandi fratelli. In mostra c’era il talento, non l’apparenza. Era una società basata sulla sostanza, la nostra invece è solo immagine, solo fumo negli occhi.
E’ una società che fa la coda e si pesta di fronte ai negozi della Apple per avere l’ultimo modello di telefonino, che si fotografa in tutti i modi possibili per postare la propria vita sul libro della Facce e condividere la propria mediocrità con il mondo intero e poi spulciare i profili altrui e scoprire altri mondi mediocri da commentare. Siamo la società che passa il sabato sera a cena con gli amici costantemente connesso al telefonino per controllare che cosa non mi è ben chiaro. Un tempo sui tavoli dei locali c’erano solo le birre, oggi oltre alla birra c’è sempre l’inseparabile telefonino, lo strumento più alienante che l’uomo moderno abbia mai concepito.
Un tempo c’era una discrezione nei rapporti da far quasi paura. Le coppiette si davano la mano in privato, ai genitori non si raccontava nulla e il primo bacio era una cosa a due, non c’era bisogno di condividere quel momento con tutti. Anzi, più che condividere, far vedere a tutti. Perché quello che spacciamo per condivisione, non è altro che mera voglia di mostrare la propria vita agli altri per puro gusto dell’apparire, più che del condividere.
E mi ci metto pure io in questo calderone, ne faccio parte a pieno titolo. Mi sto lamentando di un qualcosa di cui pure io faccio parte e ne sono consapevole.
Mi piacerebbe poter vivere negli anni 60’, quando non avevano niente e in realtà avevano tutto. Erano padroni della loro vita, erano capaci di gustarsi ogni attimo senza fretta e senza la foga di dover mostrarlo agli altri. Non si viveva per apparire, ma per dare un senso compiuto e sostanzioso alla propria esistenza. E al diavolo il parere degli altri, al diavolo la moda. Ho un’esistenza da portare avanti e lo faccio come voglio io, punto. Senza condizionamenti, se non il buon senso.
Ho come l’impressione che la mia generazione si stia fottendo da sola per questa corsa all’apparenza, per dover dimostrare sempre qualcosa, dall’avere un lavoro ad avere tanti amici (virtuali o meno) ad avere l’Ipad di ultima generazione o semplicemente le conoscenze giuste per entrare in un locale. Certo, anche ai tempi dei miei genitori l’apparenza aveva il suo peso, ma non mi pare fosse preponderante nei rapporti e nella società stessa come lo è oggi. E il guaio è che peggioriamo sempre di più.
Non c’è distinzione tra Italia o Australia…ovunque nel mondo occidentale (ma direi che anche gli asiatici ci stanno seguendo in questo senso) l’apparenza detta legge.
Io sto quasi pensando di ritirarmi in qualche montagna e aprirmi una fattoria. Però dovrei cercare un punto dove prende internet…perché la scema qui parla parla ma senza internet non saprebbe starci.
Sono, purtroppo o per fortuna, figlia del mio tempo. Questo tempo maledetto.
La Maga