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IL PROFILO SCONOSCIUTO
Ho sempre amato i nomi italoamericani, sono carichi di fascino. Mi riportano alla mente immagini patinate di uomini eleganti, in completo scuro, con scarpe di vernice bicolore e borsalino. Mi chiamo Anita e lavoro in un piccolo bistrot il "Book Bar", che conta appena una ventina di coperti, e dove i clienti sorseggiando un the aromatizzato, possono perdersi nella lettura di alcuni autori classici e altri moderni, accompagnati da un incessante sottofondo strumentale. Per ora non disdegno il mio lavoro serale, lo stipendio mi permette di frequentare un corso di redattrice che spero sia il primo passo di una carriera professionale gratificante. Era l'inizio di Giugno quando Cecilia, una mia cara amica originaria di Salerno e studentessa universitaria qui a Roma, mi chiese se avessi avuto voglia di partire con lei per trascorrere le ferie estive. "Ti farò vedere la Costiera Amalfitana, è il più bel posto del mondo!" mi disse con evidente orgoglio campano. Partimmo il primo sabato di Luglio, una mattina afosa, sebbene non fossero neanche le otto. La prima settimana di vacanza la passammo sulla Costiera, comodamente ospiti dei parenti di Cecilia, sparsi tra Amalfi e Sorrento. Mandai decine di cartoline e scattai centinaia di foto. Al termine di quei sette giorni di sole, traghetti e mare, tornammo a Salerno, dove avrei visitato un po' di entroterra. Fu un martedì torrido quello in cui Cecilia mi parlò del "Dago Red", un locale inaugurato da circa un anno in un paese non lontano da Salerno, già divenuto un luogo di punta per incontri serali, un posto frequentatissimo! Partimmo verso il tramonto, e giunte in quel borgo immerso nelle colline lussureggianti del Cilento, ne restai incantata. Dinanzi al ritrovo, tra una miriade di automobilisti intenti nei parcheggi, fui incuriosita dall'insegna che oltre al nome, mostrava un profilo maschile stilizzato. Facemmo un po' di fila per entrare, ma fortunatamente dopo pochi minuti sorseggiavamo già martini e sangria, molto responsabilmente. La mia curiosità su quel profilo non mi lasciava, e ora mi assaliva morbosamente. Al bancone c'era un bel ragazzo, distinto. Facendomi coraggio mi alzai senza dare spiegazioni, andando dritta verso di lui. "Cosa prende?" mi chiese con un sorriso gentile. "Nulla in realtà, volevo solo chiederti se il profilo dell'insegna appartiene a qualcuno, e cosa significa Dago Red", chiesi a bruciapelo. "Benvenuta nel locale dedicato a John Fante!" sorrise nuovamente. Congedandosi dal bancone, ci invitò ad un tavolo tranquillo. Mi spiegò chi fosse questo John Fante, il cui nome era stato addirittura legato alla vecchia Hollywood. Come potevo io, appassionata lettrice e aspirante redattrice, non conoscere un simile genio? Un autore che Bukowski arrivò a definire "il suo Dio". Seppi che Dago Red era una sua raccolta di tredici racconti, tra i quali il suo scritto d'esordio. Salvatore, così si chiamava, sfoggiò citazioni perfettamente a memoria, rivelandomi retroscena e aneddoti, non solo riguardo Fante, ma riguardo ogni singolo autore o autrice per cui confessai la mia grande passione. "Leggo da quando avevo otto anni, come compagni d'infanzia avevo i libri della nostra immensa biblioteca". Come spesso accade, Salvatore, figlio di un brillante uomo d'affari e di una donna fredda e ottusa, era cresciuto solo, completamente. Ma ora non lo era più. Quella sera di Luglio, a Sant'Arsenio nel Cilento conobbi il mio fidanzato, un animo difficile e tormentato, due occhi verdi e tristi dai quali non mi sarei più staccata.Lucilla Leone©RIPRODUZIONE RISERVATA
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