UN ALLENATORE VENUTO DAL MONDO
A cura di Joan Leo
Era fatto in modo strano, Vujadin Boskov. Era allenatore e personaggio, ma non un personaggio alla maniera di coloro che oggi frequentano il nuovo calcio. No, sapeva essere personaggio pur essendo simpatico, istrionico, sarcastico. Non cercava la polemica diretta, la mediava sempre con stile, con quel fare che gli derivava dal suo essere slavo e cittadino del mondo. Con quelle frasi che sono passate alla storia. Con quegli occhi che avevano visto il calcio del suo tempo.
In Italia il suo capolavoro è sicuramente legato ai sei anni di Sampdoria, tra la seconda metà degli anni’80 e i primi anni’90, quella Sampdoria del presidente Mantovani che riuscì a vincere Coppa Italia, Coppa delle Coppe e Campionato, quella Sampdoria che è essa stessa simbolo di quegli anni, di quel campionato che era il più bello del mondo.
Di quella Sampdoria che sapeva farsi voler bene un po’ da tutti, nata con pazienza nel tempo, un passo alla volta.
Quella Sampdoria che a leggere oggi l’albo d’oro del campionato ti accorgi essere stata l’ultima vincitrice al di fuori del triangolo economico e mediatico di juvemilaninter, tutto attaccato, ché le differenze – senza le lenti distorte del tifo – sono talmente minime da annullarsi.
Certo, c’è stato anche l’anno del Giubileo, con annesso scudetto alle due romane, ma quella è tutt’altra storia. Boskov è stato l’ultimo allenatore capace di vincere uno scudetto in Italia al di fuori degli opulenti cancelli delle tre squadre più titolate. Non che quella Sampdoria non avesse mezzi economici, tutt’altro, ma oltre ai soldi quella società aveva un’idea di progetto, un’idea di crescita e uomini in grado di realizzare quei progetti. Quella Sampdoria aveva, quindi, qualcosa che per il nuovo calcio non è più ritenuto indispensabile, posto che per il nuovo calcio di indispensabile vi è soltanto un sempre più munifico contratto televisivo.
Viviamo in un calcio capovolto e ce ne dovremmo dispiacere un po’ tutti.
A leggere oggi la carriera di Boskov si capisce come tutto si sia modificato, alterato. Oggi sarebbe impensabile per una squadra di serie B ingaggiare un allenatore che solo cinque anni prima ha vinto il campionato spagnolo, eppure Boskov dopo aver vinto una Liga e due Coppe di Spagna e aver perso la finale di Coppa dei Campioni sulla panchina del Real Madrid disse di sì all’Ascoli di Rozzi, e vinse il torneo cadetto.
Ve lo immaginate un Conte o un Garcia accettare l’offerta di una qualsiasi società dell’attuale serie B nella prossima estate? Roba neanche per un fantacalcio molto visionario.
Non vinse mai la Coppa dei Campioni, Boskov. Ci andò vicino, accarezzò il sogno con il Real Madrid e con la Sampdoria, ma quella coppa non la sollevò mai. Rammarico? Parecchio, ma mai come il rammarico nostro nel constatare che ormai di certo calcio, di quel calcio che piace a noi e che ci faceva sognare, se ne parli sempre più spesso soltanto per ricordare la scomparsa di coloro che quel calcio lo fecero crescere per la gioia di noi ragazzi. Si perdono i pezzi e si invecchia e di spazio per la poesia ce n’è sempre meno.
Come di buon calcio, a dirla come si deve.