Come si costruisce un romanzo? Non è semplice rispondere. So come non si costruisce (almeno credo!). Se infatti ritieni che basti seguire l’ispirazione, sei fuori strada o comunque finirai molto presto in un fosso. Per questa ragione si dice sempre, e lo si ripete in maniera ossessiva, di leggere: ma di leggere cercando di capire i meccanismi che tengono in vita una storia per pagine e pagine.
Riprendo a parlare de “Il conte di Monte Cristo”, del buon Alexandre Dumas.
Senza la tecnica, cadi
Al suo interno ci sono in apparenza, un paio di elementi che potrebbero “far alzare il sopracciglio”. Il primo, forse il più grande: il tesoro.
È evidente che se il protagonista può contare su risorse illimitate, e distribuisce diamanti come fossero noccioline, qualunque piano abbia in testa sarà in discesa. Però qui interviene la capacità dell’autore che evita di usare con troppa facilità questo espediente. Mi sono domandato se io fossi in grado di costruire una simile architettura. La mia risposta: no. Gestire un così grande numero di personaggi; costruire un intreccio tanto esteso e fare in modo che non si ingarbugli, con una gestione dei personaggi oculata e formidabile (ma non priva di sbavature), temo che sia al di là delle mie già scarse capacità.
La tecnica ha svolto un ruolo determinante. Sono il primo a dire che il talento ci deve essere, e che è ferocemente antidemocratico: ma non può bastare. Se vuoi costruire un palazzo con delle caratteristiche architettoniche mai viste, devi comunque tenere conto della natura dei materiali da usare. Il cemento reagisce in un modo, il vetro in un altro, l’acciaio in un altro ancora.
Per questo motivo se desideri scrivere devi anche saper leggere: comprendere come costruire il meccanismo narrativo. È come un orologio, e ogni parte deve girare bene.
Il gusto popolare
Il secondo: ho avuto la sensazione di una certa forzatura nella costruzione della “trappola” in cui Dantès cade. Voglio dire: quando tutto inizia, il procuratore del Re non è presente a Marsiglia, ma c’è il suo sostituto. E quando costui si rende conto che nel piano per riportare Napoleone al potere è coinvolto il proprio padre, per Dantès è finita. L’assenza del procuratore, e la presenza proprio della persona che avrebbe rischiato ben più di Dantès, mi è parsa appunto una forzatura. O una coincidenza troppo fortunosa.
Ma davvero possiamo credere che questo importi al lettore? Siamo comunque davanti a una costruzione di eccellente qualità, troppo lunga forse (se non sbaglio Dumas veniva pagato a riga). Ma funziona. Queste sono questioni di lana caprina che sono colte da persone ciniche e vecchie come il sottoscritto. Dumas desiderava vendere. A chi magari gli faceva notare che era troppo popolare, faceva spallucce. Adesso ci troviamo a leggere lui, le sue opere, mentre di chi lo criticava, lo stroncava, non c’è più alcun ricordo. Lui sapeva che le persone semplici avevano necessità di identificarsi in un personaggio come loro. Giovane, onesto, ingenuo, e che naturalmente viene stritolato dal potere. Ma poi si vendica.
Anche se funziona, non basta!
La critica che si fa a questo modo di ragionare potrebbe essere: il fatto che un libro venda (funzioni, appunto) non è sufficiente. Non è un criterio di valore.
Qui la questione si fa interessante, in effetti. Se butto un’occhiata a cosa occupa la classifica dei libri più venduti, devo concludere che “quelli” saranno i classici di domani? Che cosa distingue un prodotto che vende e basta, da uno che vende ed è destinato a essere un classico? La risposta in un altro post (spero).