Lo porti in grembo per nove mesi. Combatti contro le nausee mattutine (e pomeridiane e serali). Trascorri gli ultimi quattro mesi alla ricerca di posizioni comode per dormire, cercando di placare un mal di schiena che neanche lo yoga scaccia.
Partorisci, maledicendo la Bibbia, l'evoluzione, tuo marito, l'ostetrica e tutto il mondo.
Arrivano le ragadi, gli ingorghi, gli zampilli di latte in stile fontane del Bellagio.
Consumi le pantofole e scavi un solco in corridoio a forza di fare avanti e indietro per calmare le colichette.
Diventi nottambula e per combattere il sonno cerchi di escogitare metodi per farlo dormire.
Cerchi di ricordare le canzoncine che cantavi all'asilo per calmarlo, inventi ninne nanne con i cori da stadio, racconti storie prendendo spunto dalla tua vita.
Ti trasformi in latteria ambulante, culla, palestrina, passeggino.
Lo intrattieni con qualsiasi cosa ti capiti per le mani, da una bottiglia di shampoo alle chiavi della macchina (e non ti lamenti se il telecomando coperto di bava non apre più le porte).
Te lo porti ovunque, dalla cucina al bagno.
Rinunci al parrucchiere e preferisci un taglio a zero manutenzione.
Ti svegli all'alba e vai a dormire con le galline.
Mangi se lui ha mangiato, dormi se lui dorme.
I film li vedi a puntate e il cinema è un lontano ricordo.
Diventi esperta di facce buffe per farlo ridere. Lo consoli quando piange. Sopporti i suoi morsi perché sta mettendo i denti.
Non dormi una notte intera da quando è nato.
Non hai più tempo per te (qualche volta ti chiedi se esista ancora un "te").
Rivoluzioni la tua casa e la tua vita.
E la sua prima parola di senso compiuto qual è?
PAPÀ.