War Horse, ultimo film diretto da Spielberg (tratto dall’omonimo romanzo di Michael Morpurgo, adattato per il teatro da Nick Stafford), è (in teoria) la commovente storia del bel cavallo Joey, allevato, con amore e dedizione dal giovane Albert, figlio di un povero fattore del Devon (per giunta zoppo e alcolizzato), dal quale viene separato dallo scoppio della Grande Guerra (a conti fatti vera protagonista del film, in quanto conditio sine qua non degli eventi).
A seguire, una lunga serie di improbabili avvenimenti bellici e personali, nei quali Joey passa, in sostanza, di mano in mano (inglesi, tedeschi, francesi, inglesi), dando seguito a un (supposto) ineluttabile destino che lo porterà, nel più scontato dei lieto-fine, a riabbracciare il suo amato Albert, ritornando infine alla dimora avita, con mamma e papà.
Al di là dell’inverosimile trama, più che altro una serie di circostanze picaresche, collegate in modo a volte arbitrario e pretestuoso, la pellicola è focalizzata sull’umanità dei vari personaggi. In questo senso Spielberg mostra tutta la sua nota abilità ed esperienza, nel rendere l’interiorità dei suoi personaggi, attraverso poche, sapienti inquadrature, che tratteggiano e lasciano filtrare dinamiche interpersonali e struggimenti interiori. Peccato che, a parte alcuni di essi, le cui parti risultano concrete e credibili, gran parte di essi fa in sostanza la fine di rapide comparse, che appaiono per una decina di minuti circa, per poi scomparire senza lasciare traccia.
A livello globale, tolte alcune splendide inquadrature, le riuscite scene di guerra (stiamo pur sempre parlando di Spielberg, per cui gli assalti, la trincea, le lunghe marce, sono realizzati benissimo), e una prima parte generalmente piacevole, War Horse ristagna in una palude di mediocrità narrativa e interpretativa (inquietanti, per povertà attoriale, Albert e il suo giovane amico, che, per giustizia divina, muore gasato), la quale, unita al classico buonismo del regista di Cincinnati, non contribuisce di certo alla profondità e alla memorabilità del film, durante la visione del quale si respira per certi versi un’atmosfera più da fiction, che da superproduzione hollywoodiana.Tutti d’accordo nel provare affetto e commozione per le vicende del povero cavallo Joey, che, mutatis mutandibus, a volte riveste lo stesso ruolo che fu di E.T, ma i complessi meccanismi indispensabili a far girare il tutto in modo fluido e convincente, si inceppano di continuo, vanificando i tentativi di grandeur cinematica con le più banali ovvietà narrative.
War Horse sa terribilmente di posticcio e raffazzonato, e riesce a essere addirittura indisponente, nel suo riproporre stereotipi triti e ritriti (l’età dell’oro della guerra, il violento e spietato apprendistato della guerra, la morte come grande livellatrice, il ritorno a casa dell’eroe), senza associarli a una cornice sovraordinata che vada oltre il ridicolo teaser “Separati dalla guerra. Temprati dalla battaglia. Uniti dal destino”, che fa tanto narrativa epico-adolescenziale.A tale riguardo, personalmente ho visto il film in una sala nella quale era nutrita la presenza di ragazzine, con tanto di Cioè in mano (non sapevo nemmeno esistesse ancora!), che, sui titoli di coda, si sono prodotte in un entusiasta applauso. Forse il target, lo spettatore ideale della pellicola, è proprio questo, ma di certo non ho trovato per niente soddisfacente lo sviluppo dell’idea di cavallo come simbolo di libertà e armonia con la natura, e nemmeno di fedeltà e dedizione nel rapporto con l’uomo, tutti elementi che, ad esempio, in un’altra pellicola hollywoodiana per certi versi simile, come Hidalgo – Oceano di fuoco, emergevano alla grande.
Caro Spielberg, non ci siamo.
Regia Steven Spielberg
Sceneggiatura Richard Curtis, Lee Hall
Montaggio Michael Kahn
Musiche John Williams
Durata 146 min
Interpreti e personaggi
Jeremy Irvine: Albert Narracott
Emily Watson: Rose Narracott
Peter Mullan: Ted Narracott
David Thewlis:Lyons
Toby Kebbell: Geordie
Tom Hiddleston: Capitano Nicholls
Niels Arestrup: Nonno
Celine Buckens: Emilie