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“War Horse” però non è un rilancio del cinema spielberghiano fatto a gran voce ma si avvicina di più a una prova microfono eseguita sussurrando, in cui ogni tanto si prova a osare leggermente di più spingendo il diaframma per aumentare il volume e vedere che succede. Nonostante ciò però potremmo dire che l’insieme funzioni piuttosto bene, intrattenendo lo spettatore ed entusiasmandolo con l’ausilio di alcune scene che trovano la loro grande potenza per mezzo di una costruzione perfetta e intelligente alle spalle. Peccato non poter dire lo stesso per la sceneggiatura, probabilmente penalizzata proprio da una struttura che vede come protagonista un cavallo (Joey). L’apertura promettente della storia infatti subisce i primi cali abbastanza percettibili non appena Joey comincia la sua avventura verso la I Guerra Mondiale. Il passaggio di consegne del cavallo da un personaggio a un altro non sempre riesce a garantire la stessa attenzione da parte dello spettatore che inevitabilmente, specie nella parte centrale, si vede costretto a lasciare andare diverse dosi della sua concentrazione. Fortuna vuole però che la mano di Spielberg sia sempre dietro l’angolo, lì, pronta a sorprendere e a farti sobbalzare quando meno te lo aspetti, manifestando di possedere anche per questo titolo una buona porzione di grande cinema da impiegare alla scena.
Una delle sequenze per cui verrà ricordato senza dubbio “War Horse” è quella che vede un soldato inglese e un soldato tedesco mettere da parte il loro conflitto e unirsi per liberare Joey avvolto e intrappolato dal filo spinato della trincea. Qui si respira l’intero cinema spielberghiano quello dove l’uomo, pronto a fare guerra perfino a se stesso, ritrova la sua fugace umanità di fronte alla sofferenza di un animale innocente vittima di qualcosa che non lo riguarda per niente. Il contesto si trasforma allora in una atmosfera quasi favolistica o quantomeno ai limiti della realtà, decisamente coraggiosa insomma, come le parabole indirizzate ad ogni personaggio della pellicola.
Ed è proprio il termine coraggio a risuonare spessissimo durante il lungo flusso della storia e che, distribuito in tantissime delle sue varie forme, si fa complice delle diversificazioni tra i protagonisti. Più o meno lo stesso coraggio che deve aver trovato Steven Spielberg per avvalersi di un racconto ostico come questo (tratto dall'omonimo romanzo dell'inglese Michael Morpurgo) per tornare a fare quel tipo di cinema che più gli riesce meglio. Il risultato non è certamente dei migliori ma comunque incoraggiante abbastanza da far crescere, se non altro, l’attesa per il suo prossimo progetto, sperando abbia a disposizione stavolta una voce molto più grossa rispetto a quella fioca presente al momento.
Trailer:
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