Udronotto “Copia d’arte Lego – American Gothic”
Omaggio a Grant Wood – Copia d’arte
La campagna elettorale per le presidenziali americane che si terranno il prossimo novembre, si caratterizza, molti pensano, per un dibattito particolarmente acceso sulle questioni di genere. L’affermazione necessita però di qualche importante distinguo.
Specie nel corso del 2012 infatti, i media hanno dato ampio spazio alla cosiddetta “war on women”, la “guerra alle donne” che i repubblicani sono accusati dai democratici di portare avanti in maniera sistematica, sia attraverso gli strumenti legislativi, sia ricorrendo a un linguaggio sessista – quando non apertamente insultante – nei confronti dell’altra metà del cielo. Al punto che la fedeltà delle repubblicane al proprio partito non è affatto garantita. Stando a diversi sondaggi, saranno proprio le donne a decidere l’esito della sfida fra Obama e Romney.
La madre di tutte le battaglie, inutile dirlo, si combatte sul diritto all’aborto che i repubblicani, potessero, farebbero sparire domani stesso dalla faccia del creato: solo negli ultimi due anni, decine e decine i provvedimenti e le proposte di legge per evitare e ostacolare l’interruzione di gravidanza nei modi più disparati, e anche nel caso di stupro o incesto (una delle prime panoramiche su questo era stata offerta da Pauline Arrillaga sull’Huffington Post).
Ricordiamo fra tutti l’esame a ultrasuoni obbligatorio in molti stati degli Usa per le donne che decidono di abortire: migliore immagine del feto, mentre il battito cardiaco risuona in maniera più chiara e la donna è invitata dolcemente a guardare il suo bambino e ad emozionarsi per bene. Fra gli ultimi che hanno salutato questa nuova frontiera dei diritti delle donne il Texas, con l’ancora più sofisticato e molto più intrusivo esame transvaginale obbligatorio (avevano provato a introdurlo anche in Virginia, ma poi non è passato): se ti rifiuti di vedere e ascoltare, il medico ti “fa la diretta” del sonogramma.
Con una sonda, certo, ma pur sempre di penetrazione vaginale senza il consenso della donna si tratta: ce lo ricordano in maniera molto chiara, fra gli altri, la socialista Dianne Feeley e la scrittrice Andy Kopsa.
Ma tornando alla “war on women”. Lo scorso aprile, al “Political Capital with Al Hunt”, talk show di Bloomberg TV, il presidente del Comitato nazionale repubblicano Reince Priebus, viene incalzato da Al Hunt con queste parole: «So che voi repubblicani non siete d’accordo quando vi accusano di portare aventi una guerra alle donne. Ma stando ai sondaggi, avete un “gender gap problem”, dal momento che i democratici hanno guadagnato un ampio margine di consenso fra l’elettorato femminile». Risposta del leader repubblicano: «“It’s a fiction!” Tutta un’invenzione! La verità è che se un giorno i democratici affermano che facciamo la guerra ai bruchi, i media mainstream li seguono a ruota e alla fine salta fuori che i repubblicani hanno un problema con i bruchi». Preibus pochi giorni dopo si concede la doppietta all’MSNBC di Thomas Roberts’, che lo incalza sullo stesso argomento. E anche a lui risponde che la “war on women”: «“It’s a fiction!”. Numero uno perché non esiste nessuna guerra alle donne. E numero due perché se credi che se tutte le donne siano pro aborto, allora è forse solo nel tuo mondo che esiste una guerra alle donne» (vedere per credere).
Un’affermazione che nelle sue modalità tanto ricorda le obiezioni al femminismo analizzate così bene in questo blog da Laura Capuzzo, nella misura in cui nega l’esistenza del patriarcato trattandolo come una generalizzazione astratta priva di fondamento.
Peccato che la “war on women” dichiarata dai repubblicani alle donne abbia tanti focolai caldi, per cui anche acconsentendo di prescindere dallo stretto dibattito sull’aborto, è facile dimostrarne l’esistenza proprio perché dichiarata su più fronti, alla donna in quanto tale: dagli aspetti della vita riproduttiva, spingendosi ancora più in là nella sfera intima per toccare, sporcando, problematiche delicatissime come lo stupro. Una brevissima carrellata solo per ricordare i plurimi tentativi di tagliare i fondi al Planned Parenthood, il più grande ente abortista del mondo secondo il Grand Old Party (GOP), ma anche federazione americana in prima linea per promuovere l’educazione sessuale e l’accesso al diritto alla salute e ai servizi alla persona, in un paese in cui – ci piace sempre ricordarlo -, se nasci dalla parte giusta (ricchi) sei nella terra più libera e progressista del mondo, se nasci in quella sbagliata (poveri) la vita ti impone di conquistarti con sudore e lacrime ogni singola cosa.
Ancora, sul fronte della contraccezione i conservatori hanno messo in discussione l’obbligatorietà della copertura assicurativa dei contraccettivi come normata dalla riforma sanitaria di Obama, adducendo fra le motivazioni la presunta violazione della libertà di culto per gli impiegati religiosi. Sul fronte lavorativo, hanno pensato bene – Wisconsin e Michigan docent – di sollevare dubbi circa le leggi in essere che proteggono le donne da discriminazioni salariali. Dulcis in fundo sono arrivati a proporre di dare una ritoccatina al lessico penale in caso di violenza domestica: se è un familiare a picchiarti o abusare di te diventi da “vittima” a “accusa”. L’ideona arriva dalla Georgia, dal deputato repubblicano Bobby Franklin, come racconta Alessandra Cardinale su Linkiesta.
Eppure tutto questo sembrerebbe non bastare, visto che non solo il buon Priebus ma anche il portavoce repubblicano alla Camera John Boehner, sempre ad aprile chiedeva sfinito: «“Give me a break” con questa storia della guerra alle donne», totalmente inventata, naturalmente.
Ma come si fa a negare l’esistenza di questa guerra di fronte ad un’audizione del Congresso su welfare e contraccezione, dove non solo la commissione è interamente maschile, ma si impedisce anche a una studentessa di giurisprudenza, Sandra Fluke, di sostenere pubblicamente la copertura dell’assicurazione sanitaria per i contraccettivi? Come si fa a ostinarsi a dire: “it’s all fiction”, se dopo la convention democratica in cui finalmente alla ragazza è stato permesso di dire quello che voleva, la stessa è stata insultata on air dall’opinionista iperconservatore Rush Limbaugh? “Puttana”: l’ha chiamata proprio così e quasi quasi pensava di non doversi scusare. Perché è successo tutto questo, negli Usa, a marzo!
Il caso della Fluke in un certo senso è la prova regina che la guerra alle donne esiste, nella misura in cui queste vengono spesso e volentieri zittite! È vero: alla fine la Fluke ha parlato alla convention democratica e si è presa pure gli applausi da Michelle Obama. Ma non le è stata data la parola al Congresso e, più importante, per ogni Sandra Fluke che diventa una star ce ne sono mille che passano sotto silenzio.
Lo show negli States lo fanno gli uomini che parlano fra loro di questioni che riguardano le donne. E che nella maggioranza dei casi ne sanno meno di zero. L’ultima chicca a scalare la classifica delle bestialità, ce l’ha riservata ad agosto il candidato repubblicano al Senato per il Missouri Todd Akin (R-Mo.), che premettendo di «non saperne molto sul tema», è comunque riuscito a dire: «Per quello che posso capire dai dottori, mi risulta che la gravidanza in conseguenza di uno stupro sia un evento piuttosto raro. Se si tratta di “stupro legittimo” – ha dedotto – il corpo femminile dispone di mezzi per provare “a chiudere l’intera cosa”…». Non commentiamo qui né il contenuto dell’affermazione e neppure l’ossimoro “stupro legittimo” che ci condurrebbe troppo lontano, alla deriva del furore antiabortista repubblicano.
La tesi che vogliamo invece sottolineare è che si tratta, ancora una volta, di uomini che parlano di donne. A torto o a ragione, la voce che si sente è sempre maschile. Politici maschi che accusano altri politici maschi di fare la “war on women” e quegli altri a gridare indietro che “è tutta un’invenzione”. È questo che fa notizia: basta navigare tre minuti su Google per accorgersene.
La verità infatti è che, se anche gli unici ad aprire bocca fossero uomini competenti in materia, la cosa non andrebbe bene comunque.
Dove sono le donne? Troppo impegnate a combattere, vogliamo credere. Concentrate a preparare la battaglia finale, ci piace sperare ancora più forte. Ma siamo anche troppo disilluse per pensare che si tratti solo di una montatura mediatica, su mandato politico. I mezzi di informazione sono sempre uno specchio, per quanto parziale, della società che comunicano.
La vera “war on women” negli States – quella più sottile e subdola, e che forse miete più vittime nel lungo termine -, la stanno portando avanti tutti i politici, gli opinion leader e gli esperti che quando sono intervistati sull’esistenza o meno di una guerra alle donne, rispondono. Di destra o di sinistra che siano. Rispondono al posto loro, invece di fermarsi e dire: «Andate a chiedere alle donne».