“The conk, a popular hairstyle that involves straightening out nappy hair with a host of caustic chemicals, is an emblem of black self-denial. Blacks conk their hair in an attempt to look more like white people, and their willingness to alter a feature of their body violently underscores how much they want to conceal their blackness. The conk is popular with rich and poor blacks alike, showing how blacks of all classes experience self-hatred. Though Malcolm conks his hair when he first moves to Boston, in prison he realizes how much mental energy he has been wasting on trying to conform to an impossible image of white good looks. Later, as an orator canvassing on the street, Malcolm criticizes American blacks for trying to change their African features. He sees the conk as one item in a long list, including faith in Christian religion and obsession with white women, of counterproductive black imitations of white culture.”
http://www.sparknotes.com/lit/malcolmx/themes.htmlPoi arriva lui. È bellissimo: alto, elegante, concentrato. Sfoggia una serietà assolutamente consona al momento, ma poi gli scappa un sorriso, che mostra denti perfetti, bellissimi, e ci ricorda della sua umanità, che non riesce a nascondere l’emozione del momento. È perfettamente dentro la parte di capo di una nazione assolutamente unica, che fa un po’ paura per la sua grandiosità e per la sua voglia di guidare il resto del mondo, in nome di una democrazia che diventa più importante a seconda della quantità di olio grezzo che offre.Canta il coro di Brooklyn, canta James Taylor, che per me è come uno zio praticamente. E poi giura, sulla bibbia di Martin Luther King. E lì le palle mi girano, come ai francesi quando vinceva Bartali, perché, diciamocelo, del reverendo, che invece si occupava principalmente di uguaglianza di classe e non di razza, ha solo la pelle. Obama dice: ‘we are all equals’, ma sa benissimo che non è vero. Dice che tutti gli americani hanno le stesse opportunità, lo dice giurando sulla bibbia di un uomo che ha perso la vita per aver osato denunciare che dovrebbe essere così, ma non lo è. Non succederà mai in un sistema capitalista, perché per esistere ha bisogno di una classe proletaria. Obama lo sa bene: sono cose che si studiano il primo anno di università. Poi però lo sento parlare di diritti per gay, per persone handicappate, per immigrati, uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro. E so bene che invece questa volta Obama non mi sta raccontando frottole, so bene che ci crede sul serio. Sento poi le figure religiose invitate alla cerimonia benedire uomini, donne, bianchi, neri, eterosessuali e omosessuali, immigrati… Certo, mi dico calmandomi, non è che Obama possa tutto d’un tratto diventare un socialista: non è neanche sua competenza iniziare una rivoluzione del genere. Però, per quello che può, malgrado le cose orrende che insiste a fare, e le palle che ci fa credere, una rivoluzione culturale l’ha fatta. Sta nel suo fare in modo semplice e ovvio un discorso di uguaglianza (seppure tra persone appartenenti alla stessa classe sociale), là dove solo qualche anno fa uguaglianza non esisteva. In Europa, che per coerenza uso per confrontare sia il bene (tipo l’assistenza medica) che il male (tipo l’omofobia) è ancora impensabile. Immaginate una figura religiosa italiana che durante una cerimonia dell’importanza di quella di ieri, benedice i gay? Gli immigrati? Sarebbe davvero un grosso passo avanti. Finisce la cerimonia, gli spettatori sventolano fieri la loro bandiera. Tanti, soprattutto anziani neri che ancora non ci possono credere, si commuovono. Mi sento per un attimo proprio cittadina di questo strano esperimento che è l’America, sento dentro di me le sue enormi contraddizioni, i motivi per cui vergognarsi e quelli per cui esser fiera. Dan mi sembra bel contento, soddisfatto. È una soddisfazione contagiosa, lo ammetto.