C'était ridicule [...] d'être encore déçu parce qu'il n'y avait pas de neige un matin de Noël, mais les gens d'un certain âge ne sont jamais aussi sérieux que les jeunes le croient.
Georges Simenon, "Un Noël de Maigret"
Il bianco. Probabilmente su nessun colore come questa sommatoria di tutti i colori si è stratificata nel tempo una tavolozza semantica e metaforica tanto vasta: dall'innocente candore dell'infanzia agli inquietanti mostri marini di Melville, dal gelo dei ghiacciai al calor bianco degli altoforni, dalle abbacinanti illuminazioni dei mistici al white noise che è fondamentalmente assenza di informazione. In un memorabile post il mio amico Antonio ha evocato cappelli di Panama e tendaggi di lino per parlare del bianco come evocatore dell'estate; per me, assai più banalmente, il bianco è prima di tutto il colore della neve. E quindi del Natale.
Oddio, e quindi per modo di dire: nei Natali della mia infanzia e della mia prima giovinezza trascorsi al Sud c'era davvero tutto ma la neve proprio no. Ho ricordi di sontuose insalate di rinforzo, di guizzanti capitoni, dell'opulenta pasticceria natalizia napoletana, di presebbi e zampognari (e di zampognari dentro i presebbi), di tombole e mandarini, ma la neve di Natale era qualcosa che vedevamo in televisione o di cui leggevamo nei libri. Mi ci sono voluti quasi trent'anni di vita per approdare (correva l'anno 1996) al mio primo Natale polacco, con temperature esterne fino a -25 °C e neve e bianco ovunque, in excelsis et in terra.
Ma tant'è: se è vero che al cuor non si comanda, tanto meno si comanda al proprio immaginario. Del resto se la neve si mette sui presepi, che a rigore sarebbero ambientati a Betlemme, potrò ben io che sono originario di parecchio più a nord associare la neve a Natale, no?
Sarà stato forse per questo che quando ho commissionato a Mauro Gilli la mia pipa di Natale 2013, scelto il modello e dovendo decidere la coloristica gli ho chiesto di realizzare un bocchino bianco. La forma che ho scelto è quella che Gilli (e non solo lui) chiama Maigret: una billiard più tozza e panciuta dell'archetipo base, che evoca una sensazione di solida, rassicurante robustezza e che effettivamente non si fa fatica a immaginare tra le mani del commissario di Simenon. E' una forma che compare in innumerevoli shape chart, dal modello 127 di Dunhill al 101 di Savinelli, e che ho il sospetto dia tanto piacere all'artigiano che la realizza quanto al fumatore che la maneggia.
Così come la square panel del compleanno, questa Maigret di Gilli è una Maigret quintessenziale, sabbiata come meglio non si potrebbe non dico desiderare ma proprio immaginare, e con un taglio e una linea del bocchino che si dimostrano una volta di più all'altezza della fama del suo autore.
Data l'occasione speciale mi sono concesso il piccolo lusso della veretta in argento, che probabilmente al quai des Orfévres non si sarà mai vista ma che in questo caso funge anche da elemento di transizione cromatico.
Come ulteriore deviazione rispetto alla filologia originale, questa pipa non fumerà i forti bruns francesi ma solo ed esclusivamente raffinate e saporite miscele inglesi; e verrà inaugurata con quello che per me è un capolavoro del genere, il corposo ed equilibratissimo Westminster di G.L. Pease.
Prima di concludere: "l'occasione mi è gradita" - come si scrive(va) nelle lettere commerciali - per porgere ai manzoniani venticinque lettori di questo blog i migliori auguri di Buone Feste, sperando che un po' del tepore e del profumo che promanano da una pipa ben avviata facciano loro compagnia in questi giorni e in tutti quelli che seguiranno.