Il 26 settembre 2010, a La Spezia, è stato conferito a Ismail Kadare il premio “Lerici Pea” per la sua opera poetica.
Kadare, il romanziere albanese più conosciuto all’estero, ha ricevuto negli ultimi anni numerosi premi letterari tra i più prestigiosi d’Europa. Nel 2005 ha vinto la prima edizione dell’ International Booker Prize e nel 2009, in Spagna, il premio Principe delle Asturie. Nello stesso anno gli è stata anche conferita dall’Università di Palermo la laurea honoris causa.
Kadare, nato nel 1936 a Gjirokaster in Albania, vive oggi tra Parigi e Tirana. E’ un autore che si è affermato ormai a livello mondiale; fra l’altro, è stato candidato per ben quattro volte alla selezione finale per il Premio Nobel.
Ma chi è veramente Ismail Kadare?
Nel suo libro Il genocidio della poesia albanese, uscito recentemente in esclusiva in Albania per l’editore “Mësonjëtorja” di Tirana, e di prossima uscita in Italia, Francia e Germania, Gëzim Hajdari, poeta albanese residente da molti anni in Italia, fa chiarezza su una delle figure più ambigue della scena letteraria internazionale. Ricostruendo passo per passo il percorso umano e letterario di Kadare durante la dittatura di Enver Hoxha, Hajdari dimostra come il mito del rifugiato politico, che lo scrittore ha costruito intorno a sé dopo essere “fuggito” nel 1990 dall’Albania in Francia, non corrisponda a verità.
Nello studio di Hajdari, che riporta passi del Kadare “dittatoriale”, il candidato al Nobel risulta un uomo senza principi e di basso profilo morale, che non soltanto ha tollerato il regime col quale è stato connivente, ma ha anche sostenuto attivamente sia come scrittore sia come funzionario di stato una delle dittature più disumane nella storia del XX secolo.
Kadare esordisce nel 1964 con il romanzo Il generale dell’armata morta, che tutt’ora viene considerato tra le sue opere più importanti e che ha reso il suo nome famoso in Albania e all’estero. Meno noto è il fatto che Kadare, nello stesso momento storico in cui analizzava i meccanismi della dittatura, abbia scritto anche versi di questo tipo: Respira velocemente./ Con gli occhi nervosi/ Si guarda intorno;/ Un collare verde/ Gli stringe la nuca muscolosa,/ Mentre cammina nel bosco con passi felpati./Gli usignoli sui rami lo scrutano con ammirazione,/ I bei cerbiatti abbassano le corna in segno di rispetto/ E se i lupi lo incontrano per strada/ si fanno da parte per farlo passare. (Kastriot Myftari: Gjyqi intelektual i Kadaresë, Buzuku, Pristinë, Kosovoë, 2008,p.444.) Sono parole che il giovane Kadare dedica al “cane del confine”, all’epoca simbolo sui generis della ferocia del sistema dittatoriale.
Nel 1966 Kadare scrive il suo famoso poema Le aquile volano in alto, che viene elogiato dai critici come un inno allo stato e al partito comunista: Nel poema “Le aquile volano in alto” di I. Kadare, la fondazione del Partito viene rappresentata come una grande fortuna per il destino del paese.(…) Lo scopo dell’autore è quello di esprimere la maestosità dell’opera del Partito.(…) L’idea del cambiamento storico che portò nel Paese la nascita dello stesso , viene descritto con una rara forza poetica.(J. Bulo, L. Kokona, K. Bihiku, Historia e Letërsisë Shqiptare të Realizmit Socialist, Akademia e Shkencave e RPS të Shqipërisë. Istituti i Gjuhësisë e Letërsisë, Tiranë, 1983, p. 61.)
Secondo il critico Fatos Lubonja, Kadare avrebbe dedicato complessivamente circa 1200 pagine, tra poesia e saggistica, al dittatore Enver Hoxha. Cito alcuni versi particolarmente indicativi, i quali – fatto inquietante che fa cadere una luce cupa sugli intrecci tra i regimi comunisti e le sinistre in Europa – nel 1977 furono tradotti e divulgati dalla Rai in Italia: “Questo è il mio canto per te/ Nel tuo venticinquesimo autunno/ sia come la rosa rossa sulla canna di un fucile.
“La nascita del Partito”: Un partito marxista-leninista/ valoroso e robusto/…/ sottoscritto dal compagno Enver Hoxha/ in cui il nome salga/ sempre più in alto/ sullo schiamazzo dei traditori/ …/all’Albania/ finalmente è nato un figlio.
Tutto ciò, ovviamente, grazie al Partito comunista: Con te mi sento alto come le montagne,/ Senza di Te, mi sento piccolo come una formica. (La poesia degli albanesi. traduzione di Joyce Lussu, ERI (Edizioni Rai radiotelevisione italiana, Torino 1977). p. 125,130,134,138.
In occasione del 15° plenum del comitato centrale del PCA, che si tenne nel 1965 a Tirana, Kadare dichiarò: Noi scrittori e artisti che siamo stati invitati in questo plenum insieme ai nostri compagni aspettiamo con impazienza di leggere i suoi atti e siamo molto felici che il nostro lavoro diventi l’oggetto di questa riunione straordinaria e importante.(…) Ci sentiamo felici perché il partito ha preso a cuore il problema della Letteratura e delle Arti.(…) Gli anni passano, come ha detto il compagno Mehmet Shehu ( Primo Ministro) e quello che non è stato fatto oggi, sarà difficile fare domani.(Fatos Arapi: Kujtohem qëjam. Marin Barleti, Tiranë,1997, p.163)
In altre parole, Kadare auspicava una sollecita epurazione. Naturalmente nella sua vasta opera non possono mancare le soliti lodi a Lenin: Fa niente:/ che possa esservi Illic/ in mezzo ai paesaggi che sogno./ In mezzo alle strade, nei campi quieti,/ dove rumoreggia una quercia, dove scorre un fiume./ Perché Lui che affronta le tempeste,/sulle strade piene di venti d’ottobre/ s’innamorò delle bellezze di questo mondo. (I. Kadarè, Shekulli im, Naim Frashëri, Tiranë 1961. p. 121). A Stalin invece dedica un poema dal titolo La primavera di Stalin che recita: Il mazzo di fiori che porto tra le mani/La Sua morte mi rammenta di nuovo./ Oh, scruto questi fiori intristiti/ Fiori per la sua statua/…/ O Stalin, nuove canzoni in ogni primavera/ io per Te scriverò. (I.Kadare:Shekulli im, Naim Frashëri, Tiranë,1961,p.121)
Parole e versi che non lasciano dubbi.
Chi si esprime con una tale enfasi – o per convinzione vera o per puro cinismo - è più di un opportunista e merita infatti l’appellativo di sostenitore del regime. In breve, si fa parte integrante di una politica contro l’umanità. E’ vero che in ogni dittatura esiste una zona grigia di acquiescenza al regime, la tentazione di sopravvivere silenziosamente, senza compromettersi troppo, senza perdere del tutto la propria dignità. Tuttavia Ismail Kadare, colui che, già intimo di Enver Hoxha, dopo il crollo del regime fece di tutto per crearsi una nuova identità da dissidente politico, non appartiene a questa zona, è anzi riconducibile alla stretta cerchia di persone che determinarono, con parole e azioni, il regime Hoxha.
La figura di Kadare, del resto, non costituisce il tema principale del libro di Gëzim Hajdari che dedica la sua ricerca alle vittime del regime albanese, a tutti gli uomini e le donne che sono stati perseguitati, torturati e che hanno perso la vita per una parola sbagliata, un verso con il quale avevano cercato di affermare l’umanità in tempi bui.
Ismail Kadare invece che scrisse che la verità non apparteneva alla Bibbia ma al Partito Comunista, non è mai stato uno di loro, ma anzi, all’epoca, il loro nemico dichiarato.