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Ed è così che l’ascolto di questi due dischi mi ha particolarmente attratto, catturato, coinvolto per i motivi sopraccitati. Parlo di Wild Beasts e Elbow giunti rispettivamente alla terza ed alla quinta loro fatica. Dei primi avevo con ammirazione accolto Two Dancers, dei secondi amministrare l’onere di The Seldom Seen Kid non è stata cosa da poco. Ma veniamo a noi. Smother, terzo album appunto dei Wild Beasts, lascia piacevolmente rapiti. L’intimità con cui viene cantato è distante dalla festosità con cui hanno recitato i precedenti episodi. Meno urlato, più sussurrato e delicato dimostrando come la crescita musicale vada di pari passo con la crescita personale dell’individuo. Così per loro una prova di coraggio, che ci ha regalato affascinanti immagini tra l’ambient, la sperimentazione e il pop. Ben dosata l’elettronica così come, misurate le chitarre, ci trasportano in una riflessione profonda in bilico tra realtà e sogno. Un gradevole stimolo per le orecchie ma anche un album dalle sfumature dense e sensuali, adatto a chi voglia far breccia sulla propria anima gemella in cerca di effusioni e dolcezze in una serata di spensieratezza.
Così come altrettanto alla pari tentano di giocare con l’intensità delle emozioni gli Elbow reduci da pluri-accostamenti (tra tutti Coldplay) e che tentano con Build a Rockets Boys di trovare una loro identità o perlomeno di esplorare territori differenti, partendo da temi come amicizia, ricordi,infanzia e perché no amore, ed inanellando melodie ed atmosfere suggestive che “strizzano” l’orecchio a strutture vocali alla Peter Gabriel così come a orchestrazioni alla Radiohead. Ma la riflessione mi porta pensare che seppure l’intento fosse il medesimo tra i due dischi sopraccitati, il risultato è di gran lunga differente. I primi riescono ad emozionare nella loro genuinità e spontaneità. I secondi, seppure laboriosi in questo lavoro, lasciano quella sensazione di album ben progettato, calibrato, pulito e distaccato oserei dire didascalico. Tanti i momenti di intensità, Lippy Kids, dal cui testo è tratto il titolo dell’album, così come obliquamente si apprezzano vivaci caroselli; Open arms, che immediatamente ti portano dalle parti di Fanfarlo piuttosto che dai Beirut, badando bene di non scomodare i magnifici Arcade Fire. Nondimeno ascoltandoli assieme alcune sfumature potrebbero ben coesistere. L’enfasi sconsolata, il timbro vocale, l’affinità nel dosare i suoni ingannano al punto di confondere, in un ascolto randomizzato, le tracce dell’uno e dell’altro. Basterebbe Invisibile da una parte e With Love dall’altra per confondere le idee e pensare tra se e se che “qui qualcuno ha mescolato le carte”. Lavoro non facile quello dell’ ascoltatore. Aguzza i sensi, stimola le sinapsi, mette a dura prova la memoria. Spulciare di qua e di la nella propria banca dati quale ottimo allenamento per non arrugginire i circuiti. Ma talvolta si sa il cuore giunge inaspettatamente imperioso a cancellare ciò che in maniera scrupolosa la ragione erige. E ci si lascia prendere dalle emozioni.“Ingannevole è il cuore più di ogni cosa” recitava il titolo di un film. Buon ascolto
Giamp
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