Ricevo da Giovanna Tomassucci (*) e pubblico volentieri
FANGO SULLA SZYMBORSKA
Domenica 8 luglio sull'inserto culturale del "Corriere della Sera" ho letto un insensato articolo di Pierluigi Battista, che si serve del nome della Szymborska come ariete per gettare fango su altri, molti altri, mirando - mi sembra - soprattutto a Roberto Saviano, che nell'immaginazione di chi non la conosceva prima, è stato lo "scopritore" della Szymborska..
Lo stesso si potrebbe dire degli altri articoli apparsi su Panorama (di Marco Filoni) e sul Giornale, dedicati al tema del trasformismo degli intellettuali, tra cui primeggerebbe proprio la poetessa polacca...
Peccato che le cose che Filoni e Battista scrivono su Szymborska sono tutte riferite "per sentito dire". Come è noto, la poetessa non ha occultato affatto la sua appartenenza al POUP, delle sue raccolte dell'epoca staliniana si è sempre saputo, chi volesse le potrebbe consultare ancora oggi nelle biblioteche polacche. Basterebbe del resto leggere le numerose note biografiche su di lei, consultabili nel
web (in primis Vikipedia), per non parlare dei vari libri a lei dedicati...
Non aiuta il fatto che si citi Kundera e il pamphlet di Milosz "La mente prigioniera", scritto in piena guerra fredda. Gli accusatori di casa nostra non sembrano conoscere granché la storia e dei paesi dell'est che uscivano dalla seconda guerra mondiale e i le sorti dei loro intellettuali che vedevano nell'URSS l'unico baluardo contro il fascismo... Il libro di Milosz è stato fortemente condizionato dalle sua scelta di rimanere in Occidente, abbandonando l'incarico diplomatico della Repubblica Popolare Polacca in Francia. E' anche un regolamento di conti con gli amici di un tempo che lo avevano fortemente attaccato a causa della suo "tradimento". Milosz conosceva bene la Szymborska e il suo passato politico su cui non ha scritto una sola parola di biasimo e sarebbe un assurdo applicare la sua teoria sulla doppia coscienza degli intellettuali della nomenclatura stalinista (il "Ketman") a ogni scrittore che aveva creduto negli anni Cinquanta alle bugie del comunismo.
E inoltre: Battista probabilmente non sa che le sue "accuse" sono le stesse che compaiono da molti anni, in maniera martellante, sugli organi di stampa e sui siti web della destra cattolica polacca più retriva, quella ferocemente nazionalistica e antisemita per intenderci, che da sempre ha marchiato la poetessa a come serva del regime proprio sulla base di quel suo passato, da lei mai negato.
Ma ancora peggio. Battista parla della Szymborska con duplice arroganza, perché non si cura di sfogliare le sue poesie. Sarebbe sufficiente aprire una qualsiasi delle edizioni Adelphi e leggere la poesia Riabilitazione (v. più avanti), che risale a oltre cinquant'anni fa (dalla raccolta Appello allo Yeti, 1957), che è un'autocritica sofferta e palese. (giovanna tomassucci)
(*) L'autrice della lettera è, tra l'altro, traduttrice e polonista all'Università di Pisa
Riabilitazione
Mi valgo del diritto dell’immaginazione
e per la prima volta in vita evoco i morti,
scruto i loro volti, ascolto i loro passi,
benché sappia che chi è morto, lo è per sempre.
E’ tempo di prendersi la testa fra le mani
e dirle: Povero Yorick, dov’è la tua ignoranza,
la tua cieca fiducia, l’iinocenza,
il tuo s’aggiusterà, l’equilibrio di spirito
tra la verità verificata e quella no?
Li credevo traditori, indegni dei nomi,
poiché l’erbaccia irride i loro tumuli ignoti
e i corvi fanno il verso, e il nevischio schernisce
- e invece, Yorick, erano falsi testimoni.
L’eternità dei morti dura
finché con la memoria viene pagata.
Valuta instabile. Non passa ora
che qualcuno non l’abbia perduta.
Oggi in materia sono più colta:
essa può essere concessa e poi tolta.
Chi traditore fu chiamato – questi
insieme al nome sia dannato.
Il potere sui morti a noi dato
esige piatti bilanciati
e che non di notte si sia giudicati,
e che il giudice non sia nudo.
La terra ribolle – e sono loro, già terra,
si alzano zolla a zolla, manciata su manciata,
escono dal silenzio, tornano ai loro nomi,
alla memoria del popolo, a lauri e applausi.
Dov’è il mio potere sulle parole?
Parole cadute sul fondo di una lacrima,
solo parole che non possono risuscitarli,
descrizione morta come una vecchia fotografia.
Neppure a un mezzo respiro so destarli,
io, Sisifo, incatanato all’inferno della poesia.
Vengono a noi. E duri come il diamante
tagliano silenziosi le vetrine
dall’esterno rilucenti,
le finestre di alloggetti accoglienti,
gli occhiali rosa, i cervelli, i cuori di vetro.