Settembre è decisamente il mese dei festival letterari. Dopo quello di Mantova e quello di Pordenone, arriva il prossimo weekend, dal 25 al 28 settembre, un altro festival con il mondo dei libri al suo centro, ossia il Women’s fiction festival a Matera. Giunto alla sua ormai undicesima edizione, questo festival si configura in modo leggermente differente rispetto agli altri – e non solo perché è uno dei pochi eventi culturali di lunga durata del nostro amato sud Italia.
Innanzitutto, è un festival tutto al femminile, che intende promuovere soprattutto le autrici e le scrittrici. Ma questa è la caratteristica forse più marginale del WFF, che si configura soprattutto come un congresso internazionale per addetti ai lavori (scrittori, giornalisti e editori in primis, ma anche traduttori, editor, produttori ed esperti di trasposizioni), come mi ha illustrato Maria Teresa Cascino, una delle organizzatrici del Festival. Infatti, il Women’s fiction festival è una quattro giorni di seminari, convegni e momenti di approfondimento tenute da professionisti del mondo editoriale ad un pubblico altamente specializzato e interessato. Un modo per aggiornarsi per chi appartiene già al mondo editoriale; un’occasione per confrontarsi e conoscere le nuove tendenze del mercato, andando oltre i limiti geografici e linguistici.
L’idea di una festival del genere nasce grazie all’incontro di Elizabeth Jennings, scrittrice americana residente a Matera, con quello che sarebbe stato poi il gruppo organizzatore del Festival: Maria Teresa Cascino e Maria Paola Romeo e il libraio Giovanni Moliterni. Da quello che era, più di dieci anni fa, un convegno molto internazionale sulla scrittura e sull’editoria, sul modello di quelli di Washngton o Los Angeles cui la Jennings partecipava, siamo ormai giunti a una versione di festival più matura e capace di dare opportunità anche a giovani sconosciuti. Come? Ad esempio tramite una delle novità dell’edizione di quest’anno, ossia l’Indipendence Day, che è la giornata dedicata alla piccola editoria indipendente di qualità; o il Pitch creato per autori ancora sconosciuti che hanno la possibilità di parlare della propria opera a diversi editor, presentendola in pochi minuti, tentando, se non direttamente la pubblicazione, perlomeno l’incontro tra chi vive di libri -producendoli, editandoli, giudicandoli – e chi vorrebbe viverne (scrivendone e pubblicandone a proprio nome).
Altra bella novità è quella di mettere a confronto self publishing e editoria tradizionale, tutti i pomeriggi, tra le 15 e le 18, con un appuntamento simpaticamente intitolato Indie Unconference, in modo tale di andare oltre i soliti cliché sull’uno e sull’altro sistema, di chiarire cosa ciascuno di essi offre nello specifico e capire quali sono i vantaggi e le problematiche.
Nel programma l’attenzione al mondo extra italiano è molto forte, ci sono diversi appuntamenti dedicati alla traduzione, oltre al contributo di ospiti stranieri e la scelta di trattare di temi come la trasposizione cinematografica o in telefilm dei libri. Non mancano gli incontri sull’editoria digitale, cui saranno presenti gli AD di Amazon e alcuni rappresentanti dell’ereader Kobo, in un’ottica che decisamente valica i nostri usuali confini, considerando anche l’ancor ristretto numero di lettori squisitamente digitali nel nostro paese.
Oltre agli appuntamenti per i professionisti, il Women’s Fiction festival prevede anche quelli più ordinari, dedicati al pubblico e all’incontro più informale con gli scrittori. In vari luoghi della città verranno presentati alcuni libri e lo staff ha pensato di coinvolgere anche quelli che si spera diverranno dei futuri lettori forti, aprendo alle scuole alcuni laboratori.
La ricchezza del programma è un dato certo e tangibile, ma vale a determinare il tutto esaurito già dichiarato sul sito del Festival? Mi spiego meglio: a Matera il Women’s Fiction Festival è ormai un’istituzione, un gradito ritorno di appuntamenti settembrino; eppure perché la Basilicata si colloca quasi agli ultimi posti per numero di lettori e numero di libri acquistati? Come mai nei Festival di scrittura e letteratura in Italia c’è sempre il tutto esaurito ma la situazione generale dell’editoria italiana non migliora affatto (anzi!)? Ho rivolto questa domanda a Maria Teresa Cascino, la quale mi ha dato la sua personale (ma più che condivisbile) interpretazione: come in tutti i livelli della vita pubblica e sociale, ciò che si ricerca è il personaggio e non la storia, il glam, non la qualità. Perciò il festival, anzi i festival, come i saloni del libro o le fiere, sono eventi a cui si partecipa, volentieri, e se ne parla, anche tanto, perché fanno notizia e perché si è sempre a caccia di qualche più o meno finta novità o scoop, ma in realtà manca la sostanza. Gli italiani non sono più interessati alle storie – e ai libri che le contengono – quanto all’autore particolare, allo scrittore dalla personalità forte e ammaliante – o che almeno così appare da copertina o recensione. Poi magari il libro non è all’altezza delle aspettative, perciò viene accantonato, o addirttura non acquistato; e questo spiega anche il successo dei libri di autori provenienti dal mondo della tv o dello sport, ancor più tangibile nell’editoria dei ragazzi – vedi il caso del boom di Violetta della Disney o dell’autobiografia Carlotta Ferlito – ma che era stato già anticipato con Fabio Volo (già conduttore tv) e coinvolge anche i libri che nascono prima o dopo la messa in onda delle serie tv o dei film (Twilight vi dice nulla?).
Con quest’analisi non posso che concordare, auspicando che prima o poi questo trend si arresti e che l’editoria italiana trovi nuova linfa e forza. Magari dalla buona scrittura, semplicemente, come dovrebbe essere. Come quella di Clara Sanchez, ospite d’onore al Women’s fiction festival di quest’anno, nominata “baccante” di quest’edizione, capace di saper coniugare generi diversi e uno stile personale che hanno portato a un meritato successo anche economico.