WORLD WAR Z (Usa 2013)
Un virus misterioso trasforma gli uomini in zombie, catatoniche creature affamate di carne umana. Nel giro di pochi giorni il mondo intero è nel caos. Prova a risolvere la situazione un ex agente dell’Onu, coraggioso padre di famiglia. È così basilare la trama di World War Z da sembrare, più che un prodotto inedito, una summa di tutti i film (post)apocalittici usciti negli ultimi anni, una sorta di punto della situazione su questo prolificissimo genere cinematografico, uno sfoggio/esercizio di effetti speciali e tecnica registica portato avanti senza alcun interesse per qualsivoglia contenuto emotivo e narrativo.
Prodotto e interpretato da Brad Pitt e diretto da Marc Forster (quello di Monster’s Ball, Vero come la finzione e Il cacciatore di aquiloni – uno sconosciuto di successo, anonimo giovane veterano tedesco-hollywoodiano), WWZ è sostanzialmente privo di reali elementi d’interesse, se si escludono alcune scene di massa girate piuttosto bene e un po’ di sana tensione nel finale, quando il bel Pitt e altri due o tre personaggi si trovano rinchiusi in un laboratorio scientifico infestato di zombie.
È curioso come questo film riesca a essere allo stesso tempo incredibilmente mediocre e ben fatto, un equilibrio così paradossalmente perfetto da non lasciare quasi spazio ad alcuno spunto di riflessione critica. Infatti mi limiterò a dire soltanto due cose, in conclusione: 1) se si esclude il protagonista, che già, pure lui, non è che sia un eroe particolarmente memorabile, tutti i personaggi di WWZ rimangono a un livello assolutamente superficiale, come se non si fosse voluto togliere spazio e importanza all’unico nome conosciuto del cast (non me ne voglia Pierfrancesco Favino); 2) gli zombie sono rappresentati in modo banalissimo, quasi fastidioso, con quel loro gracidare da aquila in calore e quell’espressione imbecille ma nemmeno troppo spaventosa stampata in volto. E tra l’altro presentano una gamma di caratteristiche così ampia (sono al contempo lenti e rimbambiti come gli zombie di Romero e veloci e letali come quelli di Boyle e Lawrence) da risultare del tutto impersonale. Deludenti, insomma, come del resto il film di cui sono protagonisti.
Alberto Gallo