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L’unico approccio possibile per non uscire insoddisfatti da questo genere di film è quello di entrare in sala senza alcuna aspettativa ma a volte anche questo cortese accorgimento stenta a filare. Scritto in maniera elementare e consolidata, come altri analoghi prodotti del genere, questo zombie-movie con Pitt debilitato protagonista ha come unico pregio quello di non voler uscire fuori dalla sua natura primordiale: non cerca di gonfiarsi il petto e rispetta le regole imposte dal suo incarico, mediante una confezione onesta che almeno è in grado di salvargli la faccia. Già, salvargli la faccia. Perché se per un attimo “World War Z” si fosse chiesto quale fosse il modo per fare un passettino più lungo della sua gamba, tentare di librarsi con il rischio di cadere, allora forse adesso ne staremmo parlando in tutt'altro modo. L’attenzione a non alzare troppo il gomito e la sobrietà che si autoinduce rende la pellicola di Marc Foster un prodotto insipido e dimenticabile, cosa che probabilmente non sarebbe stata se avesse tentato di sporcarsi le mani, magari, operando meglio su quel personaggio ordinato e saldo affidato a Brad Pitt, e sugli eventi catastrofici che lo coinvolgono.
Così senza quell'inutile pregio di tener basso il gomito e portare a casa il compitino ma con qualche ostentazione di sfacciataggine in più probabilmente si sarebbe trovata la maniera giusta per dare altro senso e vita alla pellicola, salvarla dal dimenticatoio, ed inserirla furbescamente in un contesto da b-movie simile a quel “Grindhouse” realizzato da Tarantino e Rodriguez. Poiché alla fin fine, quello che più infastidisce di “World War Z” son proprio le dinamiche che utilizza per procedere oltre, le trovate di sceneggiatura, i momenti drammatici che costruisce, il non scomporsi di fronte a una condizione che esposta così come è, di fatto, nulla di nuovo aggiunge alla causa, risultando incapace e soporifera venditrice di un argomento che non solo ha già detto quel che sapeva ma che ultimamente è stato saccheggiato a ripetizione e profondamente (meglio).
Per questa serie di motivi non possiamo che attribuire a Marc Foster i nostri più sentiti dispiaceri, per essere finito tra le sbarre di Hollywood e aver perduto ogni tipo di istinto a sperimentare e rischiare. Un po’ più di libertà creativa, la stessa accarezzata nel suo “Vero Come la Finzione”, forse stavolta gli sarebbe stata preziosa e lo avrebbe aiutato a fare dell’opera di Max Brooks (World War Z: La Guerra Mondiale degli Zombi) un adattamento superiore. La morte di un medico che preso dal panico si esaurisce da solo come speranza per l’intero pianeta genera solo risate involontarie da parte del pubblico, che a questo punto, tanto valeva far ridere volontariamente.
Trailer:
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