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By Monica Di Sisto
Tanto attesa, oggi è arrivata a poche ore dall'apertura dell'ottava Ministeriale della Wto in una riunione affollatissima di negoziatori la dichiarazione del Gruppo Informale dei Paesi in via di sviluppo, che contesta in composti termini negoziali, ma molto chiari, la debolezza degli aspetti di sviluppo del documento al centro del vertice. Gli oltre 120 Paesi in via di sviluppo si dicono "disturbati dal farro che gli impegni politici di raggiungere una conclusione e bilaniata conclusione del ciclo negoziale entro il 2011 non si sia tradotto in posizioni concrete e flessibili". Questi Paesi, che reclamano d'essere la maggioranza dei Paesi membri, chiedono con forza che non si abbandoni l'agenda di sviluppo di Doha, ma che non si abbandoni nemmeno l'uso del negoziato parallelo di tutti i temi sul tavolo (single undertaking) e soprattutto che non si arrivi, nemmeno nella parte non consensuale della dichiarazione finale, ad approvare pezzi di negoziato in formazioni plurilaterali, cioè raggiungendo l'accordo solo tra pochi Paesi, creando così un sistema negoziale a più livelli, abbandonando un autentico plurilateralismo.
Pesa, probabilmente, la cena di lavoro in cui ieri notte Australia e Norvegia hanno invitato Nigeria, Kenya, Malaysia, Messico, Costarica, Singapore, Indonesia e Hong kong, proponendo loro di far inserire nella dichiarazione finale un accordo già chiuso tra essi di non assumere alcuna misura tariffaria o di protezione dei propri mercati, nemmeno in fase di estremo bisogno come pure la Wto, al contrario, ammetterebbe (standstill clause). "L'agenda di sviluppo di Doha non può essere frustrata fino alla morte - ha reclamato il coordinatore dei Paesi Africani -. Stiamo insieme, per evitare che la ministeriale apra, invece di chiudere ciò che è già sul tavolo, nuovi temi negoziali che non abbiamo intenzione di aprire per il momento". Accorato l'appello di Cuba: "purtroppo dobbiamo riconoscere che l'ampiezza della nostra presenza tra i membri della Wto non ha prodotto una proporzionale influenza nell'andamento dei negoziati". Agli stessi Paesi Poveri "si impongono sacrifici, con il pretesto di una crisi economica che non provochiamo. Ci viene chiesto di rinunciare ai nostri bisogni con l'obiettivo di indirizzare il lavoro futuro dell'organizzazione verso le priorità dei Paesi industrializzati, senza rinunciare ai sussidi all'agricoltura e agli altri privilegi di cui godono. Lottiamo uniti perché tutto questo - ha concluso - si tradurrebbe in una ulteriore gravissima crisi per tutti noi".
Fonte:http://fairwatch.splinder.com/
Uno Sguardo A Volo Radente Su Un'economia Capace Di Futuro
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