Ogni cosa è destinata a compiere un proprio ciclo. Se prima era così, allora deve per forza diventare cosà. I supereroi di casa Marvel ne sanno qualcosa perché, fra migliaia di pagine scritte e disegnate e quasi mezzo secolo di storia produttiva alle spalle, ne hanno passate di tutti i colori. Cattivi che diventano buoni per poi essere cattivi, buoni che muoiono e poi risorgono per far morire i cattivi che poi muoiono e risorgono di nuovo come in un loop, restyling dei personaggi, riavvii di saghe ormai eoniche [anche se la famigerata rin di Straczinsky su Spider-man a me era piaciuta un botto] e gli immancabili megaeventi... insomma, ce n'è stata per tutti i gusti. Però la mia generazione può dire di aver visto nascere quello che è il moderno monopolio della Marvel cinematografa, che ha dato la spinta che ancora mancava al filone dei cinefumetti. Un'iniziale manna per gli appassionati, un'estrema rottura di cazzo per chi ama la qualità. Perché un tempo, nella maggior parte dei casi, prima di fare un film si pensava bene a una storia decente e a chiamare dei registi preparati [basti pensare ai primi due Spider-man di raimiama memoria] mentre ora invece è tutto un proliferare di pellicole fatte con lo stampino e perlopiù scadenti. Come dice il mio amico Mattia di Cinefollie, siamo passati dal dire «Non vedo l'ora che facciano un film su quel supereroe» a «Oh no, ancora un fil su quel supereroe?». Contando gli spin-off gli X-men sono arrivati a quota sei, ma si diceva che questo settimo film era destinato a essere diverso...
Nel 2023 i mutanti e gli umani a loro collegati sono stati eliminati dalle Sentinelle, degli speciali robot governativi. Il professor Xavier e Magneto, quindi, tentano un atto disperato: con gli ultimi mutanti rimasti fanno tornare la coscienza di Wolverine nel suo io passato, in modo da fargli fermare i fatti che hanno portato a quel tragico presente.
Sorvolando sul fatto che nella locandina sembra che il povero Charles Xavier stia scoreggiando fuoco, posso dire senz'ombra di dubbio che questo Days of future past mi ha davvero colpito in positivo. Certo non è esente da alcune cazzate e da diverse ingenuità insite nel genere stesso, ma sono comunque elementi già presenti implicitamente nelle storie dei supereroi, e anche se l'effetto cinema le amplifica non mi hanno dato particolarmente fastidio. Perché questo film è davvero bello, bello come solo un certo tipo di 'cinema commerciale' sa essere. Perché questi film non sono arte, non vanno intesi come tali e vanno presi unicamente per quello che sono. Chi si ostina a dire che anche coi supereroi si può fare arte o è un deficiente oppure un sedicenne con le idee molto confuse. Se ha più di sedici anni allora è senza speranza, ma questi sono cazzi suoi. Questo però non significa che per fare film di questo tipo non ci voglia una dose non indifferente di cuore e passione, perché questi due elementi sono strettamente necessari per ogni cosa che si vuole realizzare. La storia è quella creata dal mitico Chris Clamremont e dal disegnatore John Byrne nell'omonimo ciclo di storie del 1981, ripreso in due puntate della saga animata dei figli dell'atomo, presentata con le dovute differenze e con degli intenti leggermente variati. Ed è una storia davvero molto bella, come già detto, che riesce a far trascorrere due ore buone in totale spensieratezza, facendo tifare per i personaggi e lasciandosi andare alla giusta commistione di cazzotti ed introspezione psicologica, andandosi così a confermare come il miglior lavoro fatto nella saga insieme a First class. Ha anche il notevole pregio di far dimenticare gli orrori di Conflitto finale [un momento, ma una Sentinella più vicina all'originale fumettosa non compariva nell'inizio di quella boiata?], anche se ne condivide il medesimo sceneggiatore, che qui però sembra essersi ripreso totalmente dal rincoglionimento dell'epoca intessendo una trama davvero intrigante, per quanto residuata da una storia già esistente, e motivando ogni momento con una propria logica perfettamente coerente e incalzante. Purtroppo però parte del collegamento con la precedente saga è stata fornita dalla scena post-credits di quella solfa allucinante che è stato Wolverine - l'immortale - e non a caso quella era l'unica parte del film interessante - ed a questo punto non sembra esserci soluzione alcuna. Per il resto invece è tutto oro che cola, anche se alcuni potranno lamentarsi del fatto che le scena di azione muscolare non siano particolarmente tante. Compensa questo fatto un'ambientazione Seventies davvero fiqua e delle trovate interne ad essa [Kennedy era un mutante!] che da sole valgono la visione. A dirigere il tutto invece c'è il capostipite di questa saga, Bryan Singer, de me ribattezzato zio cantante, che ci abitua col suo stile di regia sobrio ma ben calibrato, necessario per un film basato sui salti temporali. Ma il vero fiore all'occhiello è il cast di superstar, che vede il solito e rodatissimo Hugh Jackman, di nuovo alle prese con un personaggio che credo lo perseguiterà a vita, insieme a Jamas McAvoy e Michael "Nerchia tanta" Fassbender, principali mattatori del tutto, mentre fanno loro da spalla la sempre sgrufolabile Jennifer Lawrence e Nicholas Hoult, insieme al mitico Peter Dinklage di Game of thrones. Fantastiche e monolitiche le partecipazioni di Patrick Stewart e Ian McEllen, mentre le povere Halle Berry ed Ellen Page mi sono sembrate un attimino sprecate per il poco tempo in cui sono utilizzate. Per concludere una simpatica curiosità: in questo film è presente Quicksilver, interpretato da Evan Peter, il migliore amico di Dave in Kick-ass, mentre lo stesso personaggio in Avengers 2 sarà interpretato da... Aaron Johnson!
Un film, nel suo genere, Davvero ben fatto! La prova che molto probabilmente si dovrebbero fare meno progetti a tema, ma pensati meglio. Forse sarebbe meglio per tutti, sia per il pubblico che per il cinema.
Voto: ★★★ ½