La bocca semiaperta, il collo incassato tra le spalle, la lingua da un lato all'altro, con lentezza. Nell’ombra di un non luogo, nel ribrezzo di un pozzo, negli angoli dove fili tesi da ragni invisibili, intrappolano il risveglio. La torcia, verità a esaurimento, si appiccica come vecchiezza al grumo di rossetto della maschera. E’ lei la talpa che conduce al posto assegnato in modo random. Improvvisa.Allo stesso modo, ritmica, arriva l’onda, il movimento pelvico che scuote muto l’amplesso negato, secreto; ludico gruppo dove ognuno gioca in solitario.Scivolano le immagini fuori campo, il grande visionario osserva.Si srotolano fibre di trama lisa, sgranata (pixel effratti). Un suono madido di sudore e umori sapidi. Allungare le mani non posso. Allargo le narici, maledetti stivali che mi mozzano le arterie.Scendo sempre più in basso, con la lentezza della bolla che esce dalla cannuccia sottile e si espande, e il suo dilatare racchiude colori e lucori. Membro di un sinedrio, non posso lasciare che il mio corpo tocchi il pavimento. Siamo ombre di uccelli venuti là a mudare, opalescenti ovalità, complessità sferiche di sfioramenti arcaici.La poltrona cigola incastrata tra le altre nel tempo spazio assegnato. Lembi di ferro i braccioli, palpebre serrate nell’attesa. Sul volto si dispiega la pletora del piacere, in questa improba latomia.E’ rischio l’intermittenza, pugni si aprono e si chiudono, nastro che scorre e poi ti strozza. Sete. Non è previsto il servizio ristoro.L’aspettativa proietta emozioni in un ana morfismo sublime che è latenza in quest’occhio chiuso.Non importa il tempio, le mani pregano ovunque.Tra poco verrà a ritirarmi, non hanno ancora installato la pedana. Quando fa il turno di notte, si mette in fondo alla sala e dorme, non fosse che, grazie a me entra gratis. Si guardarono occhi velati, qualcosa d’interrotto sconosciuto a chiunque. Scesero per strada accompagnati dal cigolio delle ruote della carrozzina bestemmie tra i denti e i lampi psichedelici dell'insegna al neon.
Adele Musso