di Giuseppe Leuzzi. Il racconto comincia ai 27 e finisce ai 93 anni del protagonista, dopo una scorribanda sui primi 27. Narra l’Algeria degli anni 1920-1930, tra favelhas – borghi putridi – e carceri. Ma non felicemente. Il creatore di un’Algeria splendente di ombre, e di storie politiche eccezionali, dall’Iraq alla Palestina, passa dal fattuale al paradigmatico. Per non dire al predicatorio – questa sua storia dell’Algeria è concepita, forse, e svolta come “La storia” di Elsa Morante. Si comincia con un bambino filosofo, come un proletario che non può disfarsi del gioco, come un “dannato della terra” a opera del destino. E si prosegue con la stessa incongruenza. Un’esperienza su cui Gor’kij aveva elaborato un secolo fa, di più, un modulo narrativo persuasivo, filante, di cui bizzarramente gli epigoni non tengono conto – Infanzia”, Tra le gente”, “Le mie unversità”..Lo scrittore franco-algerino avrebbe suscitato in Francia con questo romanzo grande emozione, come di narrazione popolare, storica, generazionale. È possibile, per gli algerini di Francia e i residui pieds noirs, francesi d’Algeria. Anche come ultimo, o penultimo, scrittore franco-algerino, la francofonia è in disgrazia nel mondo arabo, dalla Siria al Libano e al Maghreb. Ma arriva tardi, curiosamente, al mondo unidimensionale del neo realismo: una disgrazia che tira l’altra, di più tirano quelle dei giovani, e il popolo non si diverte mai – non sghignazza, come si sa, non ride, non sorride, non vince mai una disgrazia, e non arma trabocchetti. Dal punto di vista, nel neo realismo, della periferia urbana, che proietta il suo squallore su tutto il vivente, più spesso accomunato a malinteso impegno sociale, e oggi forse della depressione europea.Khadra, a mezzo tra le due culture, mette in scena l’Algeria del 1920-1930 in questo quadro. Con un pizzico di pícaro, più che di storico o generazionale. Ma quanto distante da Mahfouz, che anche lui faceva rivivere lo stesso mondo, periferico, arabo, degli stessi anni, ma appunto lo faceva rivivere. Qui non solo la storia è nota, ma non un personaggio si ricorda, un’azione. Orano, la città dello sfondo che oggi si direbbe multiculturale, è di maniera – un po’ alla maniera della memoria ebraica a Smirne, o Tripoli di Libia, o la stessa Orano, che si vuole grata all’impero ottomano. La prima persona poi falsa tutto – mette tutto in quadro: troppo filosofo, storico, filologo e moralista, un ragazzo di novanta e passa anni, che ricorda i suoi primi ventisette, cresciuto e vissuto in ogni sorta di miserie.
Yasmina Khadra, Gli angeli muoiono delle nostre ferite, Sellerio, pp. 433 € 16