Per molti è (ingiustamente) soltanto la vedova
di John Lennon, nonché causa di scioglimento dei Beatles, ma Yoko Ono è innanzitutto una delle più
grandi artiste concettuali del nostro secolo. Ce lo ricorda il MoMA di New York con un’ampia
retrospettiva sui lavori dell’artista nipponica, Yoko Ono: One Woman Show 1960-1971, rassegna che sin dal titolo
vuole celebrare la fluidità delle diverse discipline attraverso le quali la Ono
si esprime.
Opera-simbolo di questa mostra, sei tazzine
rotte ed incollate, rievocando anche quella che è una vera e propria filosofia
giapponese del kintsugi, l’arte di riparare le cose e dar loro nuovo valore
nonostante le crepe o il difetto. Sei tazze rotte, con altrettante frasi
emblematiche, e una sola intatta: «Non si romperà mai perché sarà sotto la tua
protezione». Poesia e arte che confluiscono in uno spazio dove installazioni,
concetti, fotografie fluttuano come variopinti kimoni. Appartenente ad una
ricca ed aristocratica famiglia di Tokyo, Yoko comincia a sperimentare con l’avanguardia
con degli scatti fotografici a 112
Chambers Street, che aprono la mostra.
Centoventicinque pezzi, che si suddividono tra
foto, installazioni, performance, tra cui il celebre film underground “#4”, che debuttò a Londra nel 1965 con
300 fondoschiena nudi di anonimi britannici, uno ogni quindici secondi per 76
minuti di pellicola. Alcune opere invitano all’interattività dello spettatore,
come in voga nella concezione artistica degli anni ’70, come Painting to be stepped on, evitato da visitatori
timidi, mentre altri, decisamente più audaci, osano camminandoci sopra, e
ancora una scacchiera composta da soli pezzi bianchi, o To See the Sky, una scala a chiocciola in acciaio che avvicina al
cielo attraverso il lucernario del museo: quando ci si avvicina alla cima
inizia ad oscillare dando al visitatore un senso di precarietà che avrà termine
soltanto quando si tocca nuovamente la terraferma. Sì, perché l’interazione è
probabilmente alla base dell’opera e della concezione artistica di Yoko Ono.
Forse senza la sua Cut Piece, taglia
un pezzo, del 1964 in cui i visitatori erano invitati a spogliarla tagliandone
gli abiti a brandelli con le forbici, forse oggi non ci sarebbero artiste del
calibro di Marina Abramovich, che ha
fatto del proprio corpo, dell’interazione con lo spettatore l’essenza stessa
della sua manifestazione artistica.
E infine il MoMA rievocherà una celebre rassegna
in una galleria d’arte di Londra del 1966, esponendo una mela verde su di un
plexiglass, quando John Lennon entrando le diede un morso: quello fu il loro
primo incontro. Questa volta, invece, resterà lì fino a marcire.
Questa rassegna è la conferma che dietro un
grande uomo c’è sempre una grande donna, e la prova che dietro un grande John
Lennon non poteva che esserci una straordinaria Yoko Ono.
Per maggiori informazioni ecco
il link ufficiale.
Magazine Gossip
Yoko Ono al MoMA: la grande donna dietro John Lennon
Creato il 21 maggio 2015 da Marianocervone @marianocervone
Per molti è (ingiustamente) soltanto la vedova
di John Lennon, nonché causa di scioglimento dei Beatles, ma Yoko Ono è innanzitutto una delle più
grandi artiste concettuali del nostro secolo. Ce lo ricorda il MoMA di New York con un’ampia
retrospettiva sui lavori dell’artista nipponica, Yoko Ono: One Woman Show 1960-1971, rassegna che sin dal titolo
vuole celebrare la fluidità delle diverse discipline attraverso le quali la Ono
si esprime.
Opera-simbolo di questa mostra, sei tazzine
rotte ed incollate, rievocando anche quella che è una vera e propria filosofia
giapponese del kintsugi, l’arte di riparare le cose e dar loro nuovo valore
nonostante le crepe o il difetto. Sei tazze rotte, con altrettante frasi
emblematiche, e una sola intatta: «Non si romperà mai perché sarà sotto la tua
protezione». Poesia e arte che confluiscono in uno spazio dove installazioni,
concetti, fotografie fluttuano come variopinti kimoni. Appartenente ad una
ricca ed aristocratica famiglia di Tokyo, Yoko comincia a sperimentare con l’avanguardia
con degli scatti fotografici a 112
Chambers Street, che aprono la mostra.
Centoventicinque pezzi, che si suddividono tra
foto, installazioni, performance, tra cui il celebre film underground “#4”, che debuttò a Londra nel 1965 con
300 fondoschiena nudi di anonimi britannici, uno ogni quindici secondi per 76
minuti di pellicola. Alcune opere invitano all’interattività dello spettatore,
come in voga nella concezione artistica degli anni ’70, come Painting to be stepped on, evitato da visitatori
timidi, mentre altri, decisamente più audaci, osano camminandoci sopra, e
ancora una scacchiera composta da soli pezzi bianchi, o To See the Sky, una scala a chiocciola in acciaio che avvicina al
cielo attraverso il lucernario del museo: quando ci si avvicina alla cima
inizia ad oscillare dando al visitatore un senso di precarietà che avrà termine
soltanto quando si tocca nuovamente la terraferma. Sì, perché l’interazione è
probabilmente alla base dell’opera e della concezione artistica di Yoko Ono.
Forse senza la sua Cut Piece, taglia
un pezzo, del 1964 in cui i visitatori erano invitati a spogliarla tagliandone
gli abiti a brandelli con le forbici, forse oggi non ci sarebbero artiste del
calibro di Marina Abramovich, che ha
fatto del proprio corpo, dell’interazione con lo spettatore l’essenza stessa
della sua manifestazione artistica.
E infine il MoMA rievocherà una celebre rassegna
in una galleria d’arte di Londra del 1966, esponendo una mela verde su di un
plexiglass, quando John Lennon entrando le diede un morso: quello fu il loro
primo incontro. Questa volta, invece, resterà lì fino a marcire.
Questa rassegna è la conferma che dietro un
grande uomo c’è sempre una grande donna, e la prova che dietro un grande John
Lennon non poteva che esserci una straordinaria Yoko Ono.
Per maggiori informazioni ecco
il link ufficiale.
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