Magazine Cinema
di Paolo Sorrentino (Italia, 2015)
con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Madalina Ghenea
durata: 119 minuti
★★★★☆
Paolo Sorrentino lo aveva già detto dopo La Grande Bellezza che non aveva più voglia di raccontare storie, ed è stato di parola. Youth non racconta una storia, ma dispensa emozioni in serie. Capisco quindi coloro che non lo hanno apprezzato, perchè l'emozione va di pari passo col proprio carattere e la propria sensibilità. Non è un film per tutti, insomma, e ha un bel dire Fred Ballinger, alias Michael Caine (il protagonista) che "le emozioni sono sopravvalutate..." in realtà le emozioni ci spronano, ci fanno sopravvivere, e sebbene il suo personaggio sia cinico e disilluso almeno quanto quello di Jep Gambardella, stavolta è proprio Sorrentino, inaspettatamente, a regalarci un'emozione che sa di speranza, a firmare il suo film più "ottimista", a ricordarci che la vita offre sempre una seconda opportunità, anche quando facciamo finta di non vederla...
Banalità in serie, ha scritto qualcuno. Può anche essere. Eppure, in questa banalità che ci riguarda tutti, Sorrentino riesce a costruire una pellicola elegante e matura, direi la più matura tra tutte quelle girate finora, una bella riflessione sulla caducità del tempo che diventa anche una regola di vita: il tempo non è infinito, non ci è permesso spostare sempre in avanti le lancette dell'orologio nella speranza che ogni cosa si sistemi da sola... e quando arriva il momento, ecco che tutta d'un fiato ci torna in mente quella fase della vita dove avremmo dovuto correre, desiderare, divorare con avidità ogni istante che ci è stato concesso, perchè quel tempo (la giovinezza, appunto) non tornerà più.
Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel), due artisti al crepuscolo delle loro vite, professionali e terrene, si concedono una vacanza ristoratrice in un lussuoso centro benessere immerso nella quiete delle Alpi Svizzere. Mick è un regista che sta scrivendo il suo film-testamento (senza riuscire a trovare il finale), Fred un ex direttore d'orchestra che non vuole più saperne di tornare sul palcoscenico: e mentre Mick è ancora energico e propositivo, Fred è sconsolato e disilluso, provato dal dramma di una moglie ormai troppo malata, fuori di testa, rinchiusa in un manicomio veneziano. Con lui c'è la figlia (una splendida e trattenuta Rachel Weisz), per sua stessa ammissione accompagnatrice e badante dell'anziano padre, appena uscita distrutta da una relazione finita male. Inutile dire che la routine dell'albergo rappresenta metaforicamente la parabola della vita umana: un non-luogo dove ogni giorno si ripetono stancamente gli stessi gesti e si fanno sempre gli stessi incontri, a dimostrazione di come anche gli agi e le comodità (e, in generale, la "bella vita") possono essere opprimenti se hai la testa da un'altra parte, se ti lasci andare allo scorrere del tempo che passa...
Sorrentino, col suo consueto tocco visionario, surreale, indubbiamente manieristico (cosa che fa andare in bestia i suoi detrattori) ma assolutamente personalissimo e ormai riconoscibile ovunque, abbandona il pessimismo del film precedente per mostrarci l'importanza del ricordo e delle scelte che si fanno: la giovinezza non è solo un fatto anagrafico, ma è legato soprattutto alla voglia di vivere e desiderare, abbattere gli ostacoli e rialzarsi, reinventarsi. Non è un caso se, a fare da contrappasso alla statuaria bellezza di una Miss Universo (stranamente) intelligente e disinibita, troviamo una serie di personaggi "giovani" fuori ma aridi e immutabili dentro di sè: una massaggiatrice che sembra Pippi Calzelunghe, una escort timidissima e ben poco sensuale, un attore (Paul Dano) che non riesce ad "entrare" nei personaggi che interpreta (Hitler compreso). La giovinezza non è tutto nella vita, ad essa bisogna accompagnare passione e desiderio, per non morire prima del tempo.
Youth non è bello e fascinoso quanto La Grande Bellezza, ma è molto più intimo e complesso, difficile da valutare dopo una sola visione. E' un film che quando esci dal cinema non capisci subito se ti sia piaciuto o no, quali siano le cose che non vanno bene e quelle che invece funzionano, ma la sensazione è quella di una pellicola che ti entra lentamente nel cervello e ti arriva al cuore, lasciando spazio alla commozione. Certo è che stavolta a dare una grossa mano al regista ci sono gli attori, tutti magnifici e in parte: se La Grande Bellezza era soprattutto un one-man-show, con Servillo mattatore, qui c'è un cast affiatato e di altissimo livello, che (purtroppo) dal lato interpretativo si eleva due spanne sopra la media del cinema italiano. Michael Caine merita la Palma d'oro: anche senza aver visto nessun altro film, lui è il migliore a prescindere.
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