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Zagarella: personaggio di strada nella messina del dopoguerra
Creato il 26 novembre 2013 da Antonella Di Pietro @Antonella_Di_PiCamminava sempre con passo veloce, si guardava intorno come se fosse pedinato o inseguito da qualcuno, senza fissare nessuno, aveva ai fianchi un cordone a cui era fissato un grosso gancio, dove lui sistemava a volte una di quelle borse a rete che riempiva di frutte e di generi alimentari contribuiti dai vari negozianti, completava il suo abbigliamento, con un pesante crocefisso scuro col Cristo in metallo che teneva appeso al collo.
Lo vidi per poi non rivederlo più, al tabacchino, ancora esistente all'incrocio fra Viale Europa e Via Catania, non c'era ancora il bar in quel locale, lui entrò trafelato, quasi correndo e chiese con voce stentorea al tabaccaio: "Datimi vacchi cosa pì poviri!" (Datemi qualcosa per i poveri!).
Il tabaccaio che sicuramente se lo vedeva spesso piombare nel negozio, gli domandò: "Ma scusati patri Zagarella, cu sarriunu sti poviri?" (Ma scusate padre Zagarella, chi sarebbero questi poveri?).
E Zagarella rispose svelto: "I poviri, vuliti sapiri cu su' i poviri? I poviri sugnu... IO" (I poveri, volete sapere chi sono i poveri? I poveri sono... IO).
Questo era il personaggio Zagarella così com'è arrivato a quelli della mia generazione, era un ex ergastolano, aveva scontato oltre 30 anni di carcere per un omicidio, di coltello si diceva, ma il compianto prof. Giuseppe Cavarra scrive: "Stefano Zagarella, giusto e onesto lavoratore fino a quando il destino non gli pose accanto sul posto di lavoro un 'caporale' che gli fece perdere la pace. Lo sopporta più che può fino al punto che si procura un fucile e lo fa fuori con una fucilata".
Un uomo, dunque, proveniente da una grande sofferenza che l'ha portato a farsi giustizia da sé. Si sa, la gente povera allora, aveva poco ascolto nei Tribunali o nelle stanze della legge, nessuna attenuante accordata, ergastolo quindi. In quel tempo trascorso in carcere, lunghissimo, la sua mente aveva avuto modo di elaborare quel tipo di personaggio prendendo spunto da qualche lettura che gli era passata per mano, in cui si parlava forse di un grande santone, o qualcosa di simile, chissà!
Quel suo modo di fare penitenza, e nello stesso tempo d'incutere paura, o almeno di tentare d'incutere paura, erano le diverse due facce del suo vissuto umano, una commistione di atteggiamenti a prima vista contraddittori, ma che lui aveva legato nel suo comportamento, e che si trascinava addosso mostrando in quel teatro di strada che era la Messina popolare degli anni'50 e '60. Ai bambini che facevano le bizze, si diceva: "Stai attento che se non fai il buono ti porto da Zagarella".
Di lui persi le tracce e, seppi in seguito, che fu ricoverato all'Ospizio del Collereale, fino alla morte avvenuta qualche anno dopo, dove ebbe una degenza intrisa di serenità senile e di momenti di agitazione che sfogava con giri del cortile dell'Ospizio, in soliloqui ed imprecazioni.
Credo che il Principe di Collereale, dalla sua tomba, vedendo quello strano povero tipo aggirarsi e soggiornare nell'Ospizio che aveva magnanimamente fondato oltre 100 anni prima per accogliere i poveri vecchi, rimasti soli, della città di Messina, fu contento del suo operato e compiaciuto, continuò in pace il suo riposo.
Antonio Cattino
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