In gergo militare Zero dark thirty significa mezzanotte e mezzo, ovvero l’ora in cui è più buio e si è certi di non essere visti. Questa fu l’ora x nella quale prese il via l’incursione armata che condusse alla cattura del più pericoloso terrorista al mondo: Osama Bin Laden.
Un titolo che inquadra tutto l’ultimo macro-capitolo del film. Ma a ben vedere è molto di più.
“Acqua, acqua, fuochino… fuoco!!”. Richiamando a un noto giochino infantile e modo di dire oggi demodé, è questa una delle molteplici interpretazioni che possiamo dare al title del nuovo capolavoro di Kathryn Bigelow, già premio Oscar per il bellissimo The Hurt Locker: situazione di stallo (zero), nebbia più totale (dark), preda individuata (thirty). Tre parole che ricorrono nella centrale sequenza di febbrile ricerca di un necessario ma sfuggente segnale telefonico a zonzo per Abbottabad. Tre parole che condensano i dieci anni di caccia, da parte della Cia, al fondamentalista talebano (arrestato il 2 maggio 2011).
L’occhio registico di Kathryn Bigelow stupisce ancora. Uno sguardo sulla realtà lucido, puro, grezzo, polveroso, de-americanizzato. Un punto di vista tagliente che mischia thriller e reportage. Zero Dark Thirty non conosce momenti di tregua. Tiene col fiato sospeso, in una nuvola di suspense che non perde un colpo. Vincitore del premio Oscar per il Miglior montaggio sonoro, avrebbe meritato più fortuna nelle file della miglior attrice protagonista. Jessica Chastain, infatti, regala un prova sbalorditiva, preziosa, mascolina. Sensuale e felina in Wilde Salome di Al Pacino, compìta e materna nel pretenzioso The Tree of Life di Terrence Malick, torna qui ad altissimi livelli di recitazione, candidandosi come una delle migliori attrici degli anni Duemila.
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