Io sono stata una pioniera dei social network, tipo che ho aperto il mio account Facebook nel 2006. Pur continuando a considerare la realtà fisica migliore di quella virtuale, trovo che esso sia una coloratissima e privilegiata finestra sull’umanità, oltre che una notevole fonte di apprendimento.Voi-sapete-chi, essendo del tutto estraneo alla logica dei social network, sostiene che i social siano la fiera del coglione (menti banali che si avvitano su questioni becere, fanno humour cheap, fingono di intrattenere relazioni e amicizie la cui gestione fisica sarebbe troppo onerosa). Ma anche della falsità, cioè un luogo ove mostrare solo il proprio lato più luccicante, previo artificioso abbellimento.Ma, per un occhio attento alle dinamiche social, questa cosa non è vera.Di solito, chi ha un senso del ridicolo sui generis, produce ironia. Chi manca di un suo humour peculiare, ricicla le battute altrui. Chi legge, riporta citazioni. Chi non legge, scopiazza e posta aforismi. Chi è verboso, scrive spesso e frequentemente. Chi è riservato, scrive di rado. Chi non ha senso estetico, fa foto di merda.
Gli ignoranti fanno errori grammaticali, i frettolosi si mangiano le sillabe. I pigri chiedono informazioni invece di aprire
Google e cercarsele. Chi manca di autocritica, pontifica sul prossimo. Gli incompresi cronici vanno di amarezza, risentimento, delusione, pat-pat sulla spalla. Le Pollyanne son sempre gioconde e positive, e infatti le piglierei a schiaffi.Insomma, forse nella vita vera mi rivoltano come un calzino, ma -oh no- sui social non mi fregano.Grazie a Facebook, ho imparato l’arte del readthrough. Ho sviluppato un occhio rapidissimo ed estrapolo in una frazione di secondo le informazioni utili. Il che può sembrare un’inezia ma in 20 anni d’istruzione non avevo mai imparato a leggere superficialmente e “allertarmi” solo quando vedo una cosa che mi interessa. Inoltre, dal punto di vista contenutistico, ho scoperto e fruito di canzoni, film,
marche di abiti -
case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale- ai quali non mi sarei mai accostata se qualcuno non li avesse portati sotto i miei occhi.Ma il mio debito nei suoi confronti non si esaurisce qui: Facebook mi ha salvato la vita! Una volta stavo con uno che mi tradiva pure con la casellante guercia della Torino-Bardonecchia, ma l’algoritmo di Facebook ha ben pensato di recapitarmi tra le top news una foto di lui con la lingua nella bocca di un’altra.Infine, Facebook è stato il primo canale attraverso il quale ho portato il mio blog a conoscenza dei miei amici e dei loro contatti, e che mi ha garantito il minimo di traffico necessario a mantenerlo in vita quando era più spopolato del deserto dell’Atacama e del Molise.Ed io son qui a chiedermi come mai il social network cui mi sono associata 8 anni fa e che continuo a difendere dinanzi ai suoi detrattori considerandolo, lo ripeto, una finestra sul mondo, come mai questo stesso algoritmo che mi ha impedito di sposare un fedifrago stia accanendosi contro di me. Dagli analytics della
mia fanpage sembra che delle circa 1000 persone che hanno donato un like, una media di 200 visualizzino regolarmente i miei post. E le altre? Cosa fanno? Dov’è andato il loro like? Zuckerberg, cosa devo fare per riprendermelo?Siccome ricevo per lavoro 500 newsletter di Social Media management, vi anticipo la risposta: scrivere contenuti interessanti, acuti, emotivamente toccanti, divertenti e “utili” in senso lato, in modo che si attivi spontaneamente un meccanismo virtuoso di sharing. L’algoritmo di Facebook riconosce questo potenziale e lo premia concedendo al contenuto una maggiore visibilità. Contenuti interessanti. Utili. Divertenti. Brillanti. Emotivamente coinvolgenti. Che gratifichino il consumatore al punto da “costringerlo”, suo malgrado, alla condivisione.Interessanti, utili, divertenti, brillanti, coinvolgenti. Tipo questi, insomma.
Zoofilia, nostalgia, sottilissime domande provocatorie, campanilismo e identità territoriale, eroi anni ’80, moda femminile, lavoro e precarietà, food. Ho sbagliato tutto, dovevo comprarmi un gattino.
Bravo Zuckerberg, sei riuscito a farmi diventare una che s’incazza-schifandosi- dell’immeritato-successo-degli-altri-mentre-io-invece. Mi hai fatto diventare una invidiosa indignata, la combinazione più frustrante che ci sia.Ma la notizia buona è che, grazie a Dio, se volete seguire questo blog, potete farlo anche attraverso altri canali:
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- twitter, dove sto poco ma in cui, per ora, nessun account è penalizzato da algoritmi idioti (per ora, ripeto)
- google plus, dove ci saremo forse io e voi, il che potrebbe non essere un male, in fin dei conti
- inserendo qui a destra l’indirizzo email, potete ricevere sulla vostra casella di posta i post in tempo reale, ovviamente spam-free
Affrettatevi, perché è evidente che da Facebook vogliono farmi fuori. Zuckerberg, mi stai perdendo, te lo dico.