Magazine Diario personale

1° maggio. Festa di chi?

Da Romina @CodicediHodgkin

Premetto che io sono una di quelle “fortunate”. Ultimamente ho avuto un bel da fare a cambiare lavoro, come sapete, ma me la sono sempre cavata bene. Ma per questo 1°maggio vorrei far presente cosa succede molto spesso ad una donna che va in maternità.

Quando sono rimasta incinta, non ho mai avuto il minimo dubbio circa quella che sarà la mia sorte. Tanto più che essendo andata in maternità sin dall’inizio, il dispetto gliel’ho fatto doppio. Sì, dispetto. Perché nel 90% dei casi la maternità, in Italia, viene vista come un alto tradimento all’azienda, specialmente in certi settori.

Al datore di lavoro, spesso, non importa nulla del fatto che la lavoratrice viene pagata dall’INPS. Sapete perché? Perché se la lavoratrice in maternità è quella che fa spese con le sue carte di credito personali, che gestisce tutte le scadenze personali (dall’assicurazione della macchina del figlio al pagamento della colf della madre), che in alcuni casi è a conoscenza di alcuni magheggi che è bene gestisca facendo finta di non vedere, che mette mani ai conti correnti personali ecc…

Nel momento in cui tu lavoratrice che, oltre al lavoro vero e proprio, fai anche questo (perché in Italia, a differenza che nel resto della galassia, la differenza tra assistente personale e segretaria viene ignorata), te ne vai in maternità, il capo deve trovare un’altra persona  di cui fidarsi. E una persona di buon senso non mette in mano i propri conti correnti e carte di credito in mano ad un’estranea, così, senza colpo ferire. Anche perché, detta brutalmente, se qualcuno prelevasse 10€ di nascosto dal mio conto me ne accorgerei subito perché l’insieme è esiguo, ma ci sono conti correnti sufficientemente carichi che se per caso un’assistente “si sbagliasse” e si auto-bonificasse 1.000€ una tantum, l’intestatario del conto non se ne accorgerebbe mai. Questo significa che per un certo periodo di tempo, i suoi cavoli personali o li gestisce un’altra delle impiegate che però non è che sappia esattamente dove mettere le mani, o se li sbriga da solo (assai più raro). In ambo i casi, la cosa non piace perché, inevitabilmente, ci sono ritardi e qualcosa salta. Gioco forza, una volta che rientri dalla maternità ricevi più o meno lo stesso trattamento che avresti ricevuto se ti fossi fatta 5 mesi di galera per aver preso a calci un senzatetto.

Non solo: il mio orario è (era) dalle 10:00 alle 20:00, escluse le due ore di tragitto totali. Non è un orario compatibile con una bambina piccola e già so che il part-time non mi verrà mai concesso. Inoltre, non dimentichiamo che se non ho mai avuto problemi a trattenermi oltre l’orario, avendo una bambina piccola mi costringerà a dire di no ogni volta che ci sarà da trattenersi. Certo, per un po’ avrei le ore di allattamento e uscirei un po’ prima, ma un conto è scalare le ore di allattamento quando si esce alle 18:00, un conto è scalarle quando si esce alle 20:00.

Ma il problema, nel mio caso, non si pone. Io non rientrerò mai dalla maternità, anzi, so già che il mio contratto (che scadrà pochi giorni prima della data presunta del parto) non verrà rinnovato. Ripeto, non avevo dubbi, ho sempre saputo che la maternità si paga. Anzi, avendo io un contratto a termine, sono anche fortunata. Ho visto colleghe con il contratto a tempo indeterminato venir vessate, di rientro dalla maternità, fino ad essere costrette ad andare via. L’ultima che ho visto, ma potrei citarne decine e decine, di ritorno dalla maternità si è vista allungare di un’ora la pausa pranzo, così tanto per farla uscire un’ora dopo…Non avendo nessuno che potesse prenderle al nido il bimbo, se ne è dovuta andare. Quindi, alla fine, sono più fortunata io, almeno non mi rinnovano il contratto e via, mi risparmio i dispetti.

Ora, sapendo già che trovare di nuovo lavoro con una bambina piccola  sarà veramente dura, io continuo a chiedermi perché diavolo una donna che sceglie di essere madre deve essere così spesso discriminata.

Non solo, se io avessi un contratto a tempo indeterminato, non potrebbero rinunciarmi fino al compimento del primo anno di vita del bambino. Essendo io a tempo determinato, possono silurarmi già prima che nasca. Domanda: cos’ha la mia maternità in meno rispetto a quella di una donna con un contratto a tempo indeterminato? Perché, in quanto precaria, devo crepare due volte? Perché questa disparità di trattamento?

La verità è essenzialmente una: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro ed abbiamo un altissimo senso della famiglia. Purché, beninteso, non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello di lavorare o di farti una famiglia. Semplice no?

 


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