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Maddalena Bertolini- UNA

Da Ellisse

Maddalena Bertolini - Una - Giuliano Ladolfi Editore, 2012 - ISBN 9788866440833

Qu

maddalena bertolini - una
esto libro della Bertolini sembra situato alla confluenza di due fiumi principali, quello privato delle relazioni domestiche e familiari, e quindi della connotazione affettiva (intesa come vox media, nel bene e nel male), e quello del personale confronto con la natura, posta come metro di misura del sé e forse monito di una limitatezza di cui conviene tener conto. Nel primo flusso si depositano non solo le dinamiche familiari e gli appunti di una vita condivisa e di un ruolo (luogo) femminile, ma anche una consapevolezza particolare, che quel ruolo abbia un fondamento antico, centrale, e sia  fondante della sua stessa poesia. Questa consapevolezza (coesistenza) è moderna, ma anche - per così dire - apolitica, indizio ne sia la quasi totale assenza del corpo e dei suoi brani, luogo deputato e anzi - come dicevo altrove - topos di molta della poesia femminile, in cui si incrociano ancora problematiche irrisolte e dissidi, magari a discapito dell'animo. Qui no, direi che qui semmai c'è una sublimazione "materna" delle cose (anche quando si contempla un lago), senza che ci sia in questo aggettivo nulla di consolatorio o di alibi per noi uomini. Il senso è quello di una "comprensione", di un approccio che abbraccia il momento propulsivo della poesia (o ispirativo, se volete) ma senza infingimenti, anzi, quando serve, con qualche scatto d'orgoglio che certe scelte stilistiche, certi enjambement repentini, sottolineano bene. Certamente, in questa consapevolezza antica e moderna avrà anche un ruolo essenziale il fatto che, come nota in prefazione Sarah Tardino, "di secondo mestiere è levatrice  la poetessa come la madre di Seneca sa l'arte di portare alla luce...". C'è in questo anche, naturalmente, l'assieparsi di una storia personale, il coincidere di una maternità propria con quella di altre ("ho messo nella vita tanti figli / tanti urti quelle notti sbattute / le porte premute sulle assenze", ed è superfluo sottolineare cosa implichi questo ultimo termine). Il "portare alla luce"  poetico, va da sé, implica anche la necessità di controllare artisticamente l'ispirazione, di mettere a confronto "la mia / faccia e quella brutale della poesia", di addomesticarla evitando di farne un semplice e disordinato stream di coscienza.

Non c'è dubbio perciò che i testi più intensi siano quelli in cui viene rivoltata e messa in scena la quotidianità. Più intensi per alcune ragioni, tutte interessanti: la non-eccezionalità delle situazioni (ovvero la loro "normalità"), che permette al poeta di coglierne sfumature, intime essenze e forza metaforica, dichiarandone un'adesione implicita e forte;  la pulsione profonda, amorosa direi, appunto materna, quasi ontologica e primaria che mette in moto e giustifica la scrittura; l'io "sociale" che vi si esplica - a differenza di altri testi in cui la relazione del poeta è con l'esterno - ovvero un io che pur essendo centrale  non è onnivoro, ma consapevole interprete e narratore delle poetiche che in quella normalità abitano, basti leggere a titolo di esempio alcuni dei brani qui sotto.

Ma anche negli altri testi, quelli sovrastati dal paesaggio, dalle montagne anch'esse familiari e onnipresenti, che sono "bianche come bestie / ruminano neve hanno la fame", "sono piene di costole / hanno schiene glabre e vertebre, "mi si ammassano nel sangue", anche in queste poesie il tessuto principale è affettivo, sentimentale nel senso buono del termine, però di un sentimento rovesciato, di una minorità, di una infanzia implicita nel confronto con esse, di un pericolo sempre presente e sempre sfidato come farebbe un ragazzo. Per quanto ci sia il rischio di cadere, anche metaforicamente, quello che attrae Bertolini in fondo è che "la prospettiva non è tirare / avanti ma soltanto in alto", esattamente all'opposto di quanto forse accada nel quotidiano di cui si diceva. Oppure, "per quanto mi riguarda - scrive - / cammino sulle punte / di tutte le montagne". Il che è probabilmente la stessa cosa.

In entrambi i "fiumi" la poesia si "concretizza", come è giusto che sia in relazione ai temi, anche quando svicola in voli pindarici o invenzioni  metaforiche o simboliche che possono apparire a qualche occhio arcigno azzardate o ingenue  ("le lenzuola della neve", "la neve fa le fusa", "le sillabe dei larici", "la giumenta lenta della lavatrice rumina mutande") ma che finiscono per sorprenderti, per rivelarsi icastiche e funzionali al racconto. Quasi senza segni di interpunzione, apparentemente stesa di getto, ma in realtà con "la scrittura intellettuale dell'istinto" (Tardino), , la parola è spesso limpidissima e "onesta", la poesia  arriva immediata al lettore, e la sua migliore qualità è essere di "una" e di molte. (g.c.)


ho ancora dei figli e la
domenica dormono se piove
noi facciamo l'amore con l'acqua
che gronda ai lati del letto
sulla tua fronte lenta e dentro
alla mia festa. A questo matrimonio
fa bene bagnarsi ogni tanto
sollevare la testa, guardarsi
battezzati, i piedi uniti i
mattini con la bocca tremula
e quasi inodore del fiore lo stupore
della neve già bucata
ho salutato il mio cervello com'era
lucido e fitto la treccia robusta e
nera a mezza schiena. I lampi
sotto gonne ondeggianti. Niente
rimpianti ma figli e braccia
di indumenti usati perdoni stretti
ancora buoni. Come quando
al mattino passo a raccogliere
i calzini in bagno e in corridoio
lascio a terra i miei giorni e tu
li metti in lavatrice - lo so
che lo farai, perché mi ami
bambini
vorrei gettare le reti della tovaglia
e con un gesto impigliarvi al volo
vorrei farvi la pastasciutta tutti giorni
chiamare a voce alta "a tavola"
e vedervi arrivare, saltare sulle sedie
miagolando, abbaiando e tirando zampate
vorrei riavervi insolenti.
A volte vorrei altri figli soltanto per pura
curiosità: la somiglianza originale.
La paura di sporgermi oltre le gambe
del parto e vederlo, il momento preciso
del viso di un uomo
di quattro
insomma io lo sapevo
che vi sareste alzati come spighe
portato barbe tenere e pannocchie chiare
è che a vederlo seduto sul divano davanti
alla televisione il mio campo di grano:
con le radici alzano il pavimento
gli zoccoli delle voci fanno tremare i vetri
i miei puledri. Sono felici in
anni disperati, sono marchiati
e riconoscibili: farò finta di perderli
nei boschi delle favole da piccoli
quando ero strega e principessa
e loro re, potenti più di me
fuori sede
tu parti e piove: usciamo presto
con l'alba alle caviglie in questo odore
di cuore calpestato. Io guido e tu hai
addosso la barba e la tenerezza del sonno
la luce finge di non vederlo e ti
seduce. È facile per lei amarti solo perché
al buio non esiste. Tu parti, il treno
si allontana e il temporale si avvicina
la pensilina è una pista d'aereo
la stazione è già volata via come un piccione
a cui ho dato un panino e un bacio
Brenta
dolce alba sguscia le montagne
le paure di nevi e mari sciolti
luce lenta bianchissime
ossa di roccia
scivola lo sguardo del sole - riprendimi
sull'orlo dell'ombra
hai fatto l'istante
perché mi raggiunga
Erdemolo
il sentiero si asciuga appeso
alle cime del lago. Giugno ha ritirato
le lenzuola della neve, si scoprono
i denti del porfido i suoi morsi
rimasti nel prato e le risate del ghiaccio
dentro l'acqua. Ora sono salvata
qui sono caduta, scivolata nel canalino
come un salmerino presa all'amo
della misericordia, viva vedi
ancora mi dibatto
pasqua al vento
senti il paese sbattuto dal vento com'è
contento: i muri si gonfiano, i camini si ergono
le tegole rizzano il pelo e si sgolano
dimmi se non viene voglia di ridere
con tutti i capelli e i cappotti adesso
che l'annuncio è così limpido che
il sole è netto e alto che tutto
il tuo desiderio piantato nel petto
è arieggiato asciugato con le radici
così forti così felici di esserci

Zanzibar, Stone Town

è in centro e il balcone dà sul mare
dall'orfanotrofio di Stone Town si vede
l'Africa e il sole tramontare
per l'alba si deve scavalcare l'isola
scendere le scale di legno rotto
annusare l'urina scappata di troppo
lasciarlo addormentato sul pavimento
a braccia allargate - un anno di spavento
le gambe tanto non lo reggono e neppure
si può pensare di adottare tutti
- non è legale e allora lascialo
a braccia aperte e offerte come
quel capretto venuto a dare tutto

l'alba, dopo l'annuncio

l'angelo sbatté le ali di velluto
come un sipario rosso che si chiude
sull'alba versata dentro alla ragazza
il nuovo sole d'oro silenzioso
si muove nei suoi passi - spiragli
di luce tra i vestiti
cammini e ogni giorno ormai
nasce da te - nessuno che lo sa
e vede farsi l'uragano
sulla superficie dei tuoi occhi
iridi oceaniche (nidi di uccelli tra le ciglia
gridi di squali tra le nuvole)

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