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Repubblica Centrafricana: peculiarità, cause e prospettive di una crisi

Creato il 21 novembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Repubblica Centrafricana: peculiarità, cause e prospettive di una crisi

La Repubblica Centrafricana, Stato indipendente dal 1960, presenta una storia di protratta instabilità politica ed economica. Povertà, corruzione, traffici illeciti di risorse naturali preziose, incapacità di governare e contrasti di radice religiosa sono infatti da annoverarsi tra le cause della profonda crisi che affligge il Paese. Questo articolo si propone di analizzare le peculiarità delle crisi attuale, identificare le sue cause remote e prossime e delineare possibili scenari in cui la situazione attuale potrebbe evolvere.

 
Nonostante la Repubblica Centrafricana non vanti un passato politico pacifico, la crisi che la sta sconvolgendo da dicembre 2012 è peculiare, a causa del tristemente cospicuo numero di vittime, dell’azione concertata di organizzazioni internazionali e della sfumatura marcatamente religiosa e civile. Il 12 dicembre 2012, infatti, ha visto la nascita del gruppo armato Séléka - letteralmente “alleanza”, a maggioranza musulmana e costituto da ribelli provenienti dal nord-est del Paese – il quale ha avviato una campagna militare contro l’allora Presidente François Bozizé con lo scopo di portare “la pace e la sicurezza” in un Paese devastato dai conflitti1. Tuttavia l’azione di Séléka ha dato il via a un’ondata protratta di violenze che continua fino a ora.

Nello stesso dicembre 2012, Séléka è riuscito a ottenere il controllo di numerose città per poi riprendere l’offensiva a marzo 2013, dopo aver firmato invano un cessate il fuoco con il governo a gennaio 2013. Il mese di marzo dello stesso anno è stato segnato da un evento altamente significativo, in quanto Michel Djotodia, il leader di Séléka, si è autoproclamato Capo di Stato: de facto questa mossa ha dato legittimazione all’attività dei ribelli. A questo punto è interessante notare il legame tra potere politico ed economico: infatti, molti ribelli appartenenti a Séléka prosperavano nel remunerativo settore dei diamanti prima di imbracciare le armi e, una volta giunti al potere, avrebbero assunto il controllo del settore dei diamanti attraverso l’estorsione e il controllo della produzione2. Ad acuire particolarmente la crisi, aggiungendosi come ulteriore elemento di instabilità, è stata la fondazione del gruppo Anti-balaka (letteralmente “anti-machete”, a maggioranza cristiana)3, nato per contrapporsi a Séléka.

Il 2014 è iniziato nel segno dell’instabilità: il 10 gennaio Djotodia si è dimesso dalla sua carica, facendo passare il Paese nelle mani di Catherine Samba-Panza4. La Presidentessa, di religione cristiana, ex broker assicurativo ed ex sindaco di Bangui, è soprannominata “mother courage5 grazie alla sua volontà di spegnere le fiamme della guerra civile. Ella si è comunque rivelata poco abile nel mantenere stabilità politica e nel sedare gli scontri spietati tra Séléka e Anti-balaka. Fino alla fine del settembre 2014, la crisi ha contato un numero enorme di vittime: ne sono state stimate cinque milioni, alle quali si aggiungono un milione e mezzo di sfollati6. Come nota Human Rights Watch, il conflitto politico e religioso tra Séléka e Anti-balaka ha preso i connotati di una guerra civile. Infatti, gli Anti-balaka equiparano i musulmani civili ai Séléka, con questi ultimi che, analogamente, uguagliano i cristiani civili agli Anti-balaka7. In questo immaginario dicotomico, dunque, un conflitto a dimensione politica e religiosa è diventato un conflitto civile, dove non viene fatta distinzione tra gli “attivisti” e la popolazione civile “terza”, che non prende parte attiva agli scontri.

Ottobre si è rivelato sinora un mese politicamente caldo. Lo scorso 3 ottobre, infatti, 25 vittime sono cadute negli scontri tra musulmani e Anti-balaka8 e l’8 ottobre manifestazioni violente da parte degli Anti-balaka hanno causato altre cinque vittime a Bangui9. Il 13 ottobre sembrava regnare una calma precaria nella capitale, con una timida ripresa delle attività lavorative10: in ogni caso, episodi di sciacallaggio11 e un aumento della prostituzione12 hanno contribuito a complicare la già difficile situazione. L’UNICEF denuncia livelli di violenza verso i giovani senza precedenti e Save the Children riporta che 6000 bambini sono stati arruolati dai gruppi armati13. Inoltre, sia gli Anti-balaka sia i Séléka chiedono le dimissioni della Presidentessa Samba-Panza14. Di fronte alla portata della crisi, le organizzazioni internazionali hanno agito abbastanza prontamente. L’ONU, che nel dicembre 2013 aveva autorizzato una missione francese (SANGARIS) e una missione di pace organizzata dall’Unione Africana (UA), nell’aprile 2014 – invocando il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite15 – ha inviato nel paese sconvolto dalla crisi un contingente con funzioni di peace-keeping a cui partecipa anche l’Italia. A giugno dello stesso anno l’Unione Europea (UE) ha deciso di inviare la missione armata EUFOR, per ristabilire la pace, insieme alle altre organizzazioni internazionali già presenti sul campo16.

La crisi affonda le sue radici profonde nella instabilità politica ed economica che ha caratterizzato la Repubblica Centrafricana dalla sua nascita. Sorta dalle rovine dell’impero coloniale francese, la Repubblica Centrafricana dipende fortemente – come notato dall’International Crisis Group (ICG)17 – dall’aiuto internazionale. Il Paese si classifica al 176esimo posto su 187 in quanto a indice di sviluppo umano; l’aspettativa di vita è di 48,8 anni18. Come sostiene l’ICG, le ingenti e potenzialmente proficue risorse del paese – come oro, diamanti e avorio – sono oggetto di traffici illegali, che vedono coinvolto il governo, il quale è anche afflitto da casi di corruzione rampante e clientelismo19. Il fenomeno del malgoverno è, infatti, da identificare – insieme all’instabilità economica – nelle cause remote della crisi, che sono sorte decenni fa e che il Paese non è mai riuscito a debellare. Il 2 ottobre, per esempio, la Presidentessa Samba-Panza si è difesa chiarendo come il governo ha gestito i 10 milioni di dollari ricevuti dal Presidente dell’Angola Dos Santos a marzo 2014, di fronte alle numerose critiche di aver gestito i fondi in modo poco trasparente20. La difficile situazione economica e politica contribuisce a creare insicurezza e mancanza di fiducia nella popolazione, rendendo più difficile l’atto di sedare la crisi.

Oltre all’instabilità economica e al malgoverno, la responsabilità per la crisi nella Repubblica Centrafricana è da attribuire a cause più immediate, come il conflitto religioso tra Séléka e Anti-balaka. Come è stato descritto sopra, la crisi si è acuita con l’entrata in campo degli Anti-balaka, sorti per contrastare i Séléka, e questi due schieramenti di ribelli si pongono su opposti assi “di culto”: in ogni caso, è utile ridimensionare la portata religiosa del conflitto, con i gruppi armati che giocano la carta della religione per coprire le proprie ambizioni di potere – come fatto notare al Time (aprile 2014) da una delegazione interreligiosa della Repubblica Centrafricana, formata da musulmani, cattolici e protestanti. La religione, dunque, sembra uno strumento per mascherare motivi politici. I Séléka, per esempio, nacquero inizialmente come coalizione di ribelli armati che facesse pressione sul governo per chiedere la smobilitazione e il reintegro degli ex combattenti facenti parte degli stessi Séléka21. Per sostenere la loro opinione, i delegati hanno aggiunto che i musulmani e i cristiani (cattolici e protestanti), che rappresentano rispettivamente il 15%, il 29% e il 52% della popolazione, hanno sempre vissuto in pace e rispettato la religione altrui. Nonostante la delegazione interreligiosa abbia espresso la preoccupazione che la guerra civile diventi un conflitto interetnico22, al momento sembra che la crisi non assuma una connotazione di tale tipo: infatti, le oltre ottanta etnie che abitano nella Repubblica Centrafricana non coincidono con la divisione tra musulmani e cristiani, che sembra invece la linea che demarca gli schieramenti nemici23.

Su queste basi, si può pensare che gli scenari futuri possibili sono il mantenimento dello status quo o il più auspicabile cessate il fuoco, accompagnato da un governo di unità nazionale (che comprenda anche l’attuale Presidentessa) o da un governo di transizione completamente nuovo in attesa delle prossime elezioni presidenziali, previste per il 2015. Il mantenimento dello status quo sarebbe deleterio per la stabilità economica e politica del paese, che precipiterebbe in una spirale di povertà e violenze protratte. Un cessate il fuoco è una prospettiva desiderabile, in quanto creerebbe le condizioni per la ricostruzione del paese, delle sue istituzioni politiche ed economiche e della fiducia dei cittadini verso il governo. Per creare stabilità e sicurezza e raggiungere un cessate il fuoco è necessaria la collaborazione delle coalizioni di ribelli. Tale collaborazione deve seguire uno spirito “collettivo” che sia volto a restaurare la sicurezza e la stabilità economica e politica del paese. Lo scorso agosto l’ex presidente ed ex leader dei Séléka Djotodia ha compiuto un passo in questo senso, dichiarando il suo impegno per l’uscita dalla crisi24. Inoltre, affinché le fiamme della guerra civile che avvolgono la Repubblica Centrafricana si spengano, sembra necessario il coinvolgimento di organizzazioni internazionali affinché aiutino le parti antagoniste a negoziare un cessate il fuoco che concili gli interessi di governo, Séléka e Anti-balaka, e monitorino il suo mantenimento in un clima di sicurezza e fiducia.


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