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Uber: quando per le liberalizzazioni ci tocca sperare nell’iPhone

Creato il 05 aprile 2015 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

Ormai la lotta fra Uber e i tassisti dilaga nella società e nei media. Tutti conoscono Uber, l’applicazione per smartphones che permette a qualunque cliente di prenotare una corsa in macchina e a qualunque automunito di vestire i panni del tassista. Da qui il diverbio: i tassisti non ci stanno e si ribellano all’entrata sul mercato di concorrenti con i quali sono costretti a spartirlo.
Le ragioni sventolate dai tassisti – che ovviamente cercano di difendere con le unghie e con i denti i privilegi offerti loro dalla situazione di monopolio in cui operano – sono molteplici e su queste ragioni l’opinione pubblica e gli esponenti politici dibattono e discutono in questi giorni. Voglio riportare qui due di queste ragioni, che sono le più dibattute e sulle quali si fa spesso confusione.

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La licenza. Questo è il principale oggetto di scontro tra tassisti, Uber e legislatore. Questa licenza costituisce lo scudo principale dietro il quale i conduttori di taxi si barricano ad ogni tentativo del legislatore di liberalizzare il loro settore. La frase è in genere la seguente: “Io tassista ho pagato a te Stato 100-150 mila euro per lavorare, ora tu non puoi permettere ad altri di entrare gratuitamente sul mercato” Ma è veramente così? Niente affatto! Molti ignorano che la licenza dei taxi è concessa dal comune attraverso concorso gratuito. Il tassista che decide di smettere di lavorare la rivende poi a caro prezzo a un altro che vuole intraprendere la stessa professione e questo farà lo stesso alla fine della sua carriera e così via. Si crea quindi uno scambio tra privati delle licenze molto simile al mercato secondario sul quale sono scambiati i titoli finanziari, in cui lo Stato non chiede (o intasca) un centesimo, ma nel quale i privati sono gli unici attori. Il motivo per cui i prezzi delle licenze sono così alti è perché l’offerta è scarsa. I concorsi comunali che erogano queste licenze sono infatti molto rari e questo diminuisce il numero di licenze concesse gratuitamente in origine e successivamente in circolazione sul “mercato”. In questo modo, il tassista che ha pagato 100, 200 o più mila euro per la licenza cercherà di rivenderla a fine carriera a un prezzo simile o più alto, alimentando il mercato delle licenze scarse in cui gli offerenti chiedono prezzi esorbitanti. Quindi lo Stato non fa pagare nulla; semplicemente, mantenendo l’obbligo della licenza per i tassisti, permette a questo mercato delle licenze di continuare a esistere. Riassumendo, ci sono dei soggetti che in origine hanno ottenuto un bene a titolo gratuito, che poi lo hanno venduto a caro prezzo a terzi, che hanno fatto lo stesso con altri tassisti ancora, creando questo scambio a caro prezzo di titoli fra privati con la complicità indiretta del legislatore, che impone il possesso della licenza ai tassisti e allo stesso tempo permette che i tassisti fra di loro si vendano queste licenze a prezzi esorbitanti. E poi diciamocelo, se un aspirante tassista è disposto a pagare certe cifre per avere la licenza, è ovvio che lo fa perché sa che così si garantirà l’accesso ad un mercato chiuso in cui i profitti lo rimborseranno presto del costo sopportato; un privilegio che si guardano bene dal rinunciare, e quindi via con scioperi, blocchi delle città e chiassate varie.
“Noi tassisti paghiamo più tasse!”. Ehm… non sembrerebbe. Parliamo dei fatti. È certamente un fatto che con Uber i pagamenti sono effettuati tramite smartphone e quindi tramite moneta elettronica, il che fa si che ogni transazione venga registrata e sia tracciabile. E per i taxi? Uno studio condotto dalla Banca d’Italia, a pagina 26, evidenzia quanto segue: “La valutazione dei redditi effettivi dei tassisti, che potrebbe essere una variabile rilevante per il regolatore, è resa complessa dall’esonero della categoria dall’obbligo di rilascio di ricevuta fiscale. In base ai dati dell’Agenzia delle entrate, il reddito medio dichiarato da un tassista era di 11.482 euro nel 2004 (a fronte di 20.345 euro di un operaio metalmeccanico) e di 13.800 nel 2005. A Bologna il reddito medio dichiarato dalla categoria nel 2005 era di 6.184 euro. Questi dati sembrano contrastare con l’elevato valore delle licenze rilevato sul mercato secondario. Peraltro i controlli del fisco rivelano una percentuale di evasori nel settore di circa il 70 per cento, avendo dichiarato un numero di chilometri annuo medio inferiore del 37 per cento e un costo per carburante medio inferiore del 22 per cento rispetto a quello reale. Le verifiche fiscali hanno anche accertato evasioni relative alla compravendita di licenze che ammonterebbero fra il 2000 e il 2003 a 19,6 milioni in Lombardia e a 18,8 milioni nel Lazio”.
È vero che lo studio è di qualche anno fa e non è stato più aggiornato da allora, ma è anche vero che a pensar male, pur commettendo peccato, spesso ci si azzecca, e quindi nulla ci spinge a pensare che oggi le cose siano cambiate. Qualche corsa in taxi fatta di recente supporta questa tesi.
La situazione è molto chiara: sulla scena abbiamo i tassisti che vorrebbero mantenere il monopolio del mercato. Opporsi sventolando i prezzi delle licenze è ridicolo, in quanto non lo ordina certo il medico di fare il tassista, né lo impone alcune legge di pagare un prezzo spropositato ad un privato per ottenerla, visto che viene concessa gratuitamente attraverso il regolare concorso comunale. È lo stesso principio per il quale un imprenditore non si aspetta certo che lo Stato gli rimborsi il capitale investito nella sua azienda nel caso gli affari vadano male. Un’opposizione basata sulle imposte pagate dai tassisti appare fuori luogo, visti i numeri della Banca d’Italia. La questione qui è: cosa vuole fare il legislatore? Perché se il compito dello Stato è quello di garantire il bene comune (ammesso che il bene comune possa o debba essere garantito dalla presenza dello Stato, ma non andiamo fuori tema), in questa situazione abbiamo un servizio scarso, o quanto meno arretrato, che rifiuta di innovarsi, in quanto rifiuta di voler competere con chi offre lo stesso servizio con una qualità maggiore, e quindi a farne le spese sono i consumatori, condannati a servizi di trasporto peggiori e costosi. In più, consentendo ai prezzi di essere stabiliti in una situazione di non concorrenza, questi rimarranno fermi ad un livello non ottimale per la totalità dei consumatori, impedendo l’accesso al servizio a chi non è disposto a pagare tali prezzi per una corsa e a chi non può permetterselo. Teniamo in fine presente che nessuno sta chiedendo ai tassisti di chiudere l’attività, ma gli si sta semplicemente proponendo di essere più competitivi, migliorando quindi la qualità del servizio offerta e ridimensionando i prezzi richiesti. Non accettare una situazione di concorrenza a monte equivale a pretendere di offrire servizi scarsi a prezzi alti senza voler sopportare l’onere di migliorarsi, il che mi pare parecchio arrogante. Non vi è nessuno che tragga vantaggio dalla non liberalizzazione del servizio di taxi, se non i tassisti stessi. A questo punto rilanciare l’hashtag che adottai su twitter in occasione dello sciopero europeo dei tassisti contro Uber pare d’obbligo: ‪#‎iononTassisto‬

Salvatore Giordano
@MilaneseXcaso


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