Il video celebrativo di 120 anni di storia del cinema, pubblicato nei giorni scorsi dalla “Tandem production”, ha attirato su di sé l’attenzione dei maggiori organi di informazione, che hanno visto in questo anniversario cinematografico l’occasione per analizzare l’evoluzione artistica e tecnologica della settima arte, delle sue modalità di fruizione e del mutamento fisico del cinema inteso come luogo in cui assistere alle proiezioni.
Il rischio di un incontrollato progresso tecnologico nel campo cinematografico è quello di un annichilimento sempre maggiore del lato artistico in favore di quello tecnico.
Il video commemorativo, che cerca di condensare in tre minuti centoventi anni di cinema, ha la grazia di un montaggio di comprovata qualità emotiva, specialmente per chi c’è sempre stato e ha dedicato anni della sua vita a ripercorrere le tappe della settima arte in tutte le sue strade maestre, ma anche negli sfumati e infiniti vicoli che da esse di dipanavano. Il video, tuttavia, ha un grande torto che è allo stesso tempo anche un merito: quello di aver privilegiato, per questioni commerciali, la dimensione hollywoodiana dell’operazione.
Ma l’Hollywood classica è immarcescibile perché incarna perfettamente il paradosso vitalistico di tutto il cinema, in quanto ne è in modo netto e assoluto il parossismo portato al grado massimo della disperazione e dell’amore. Hollywood nella sua età dell’oro- quella del muto prima e del primo sonoro poi- è la finzione che non finge di non essere tale, che non teme un giudizio di costruzione e di artificiosità da parte dei suoi adepti, e che invece lo va addirittura ricercando senza vergogna alcuna.
Quella di non mostrare alcun fotogramma del western, madre indiscussa di ogni genere cinematografico statunitense per eccellenza, è una pecca gravissima e imperdonabile, quasi di matrice profana. Ma in parte è riscattata dalla gioiosità di un meraviglioso Errol Flynn, emblema del genere di cappa e spada (sottoinsieme di un più grande e meno specializzato cinema d’ avventura), che oggi più che mai ci dice quanto sia lontano ed estinto alla maniera dei dinosauri un certo modo di pensare le pellicole.
Il cinema “moderno”, quello dalla New Hollywood in poi, ha spesso creduto erroneamente che per simpatizzare con il pubblico fosse necessaria l’assunzione della gravità del realismo. Hollywood classica dimostrò esattamente il contrario, ovvero che quanto più lontano nel tempo e nello spazio i divi potessero portare il loro fascino esotico, tanto più essi erano vicini allo spettatore medio e da esso amati. Pirati e mezzi galantuomini al servizio di Elisabetta di Inghilterra, conti russi nel tardo ottocento zarista e grandi omaggi ancora alla vecchia Europa di monarchi, rivoluzionari, orgogli nobiliari e gesta cavalleresche in un ciclo senza fine che attinge alla Storia come al Romanzo.
La Tandem, che ha prodotto il video, è stata ben attenta anche a sottolineare un aspetto tipico del cinema classico e delle sue commemorazioni postume: il cinema nel cinema. I richiami sono evidenti: Preston Sturges e Due settimane in un’ altra città (appaiono chiaramente Kirk Douglas ed Edward G. Robinson), irresoluto ma efficace omaggio a Roma, vista dagli americani come una Hollywood sul Tevere più che come vetrina di una Storia che non conoscevano. Poi, già nel pieno della New Hollywood, l’apporto tecnologico che consente a Woody Allen di omaggiare il cinema americano classico nel bellissimo La rosa purpurea del Cairo, suo capolavoro quasi insuperato, magistrale testimone della compenetrazione costante tra finzione e realtà nel mondo del cinema. Ai tempi, le grandi rivoluzioni furono l’uso del colore e soprattutto l’introduzione del sonoro, che ai limiti dello scandalo portò alcuni a immaginare un cataclisma di immani proporzioni. Fu invece un abnorme successo commerciale, sebbene in un certo senso l’introduzione del sonoro spazzò via variegate forme di sublime comunicazione che di rado sono poi state riprese dal cinema dopo la fine del muto.
Oggi IMAX, 3D, HD, CGI sono termini ormai entrati a pieno diritto nel lessico di ogni appassionato di cinema. Le grandi case di produzione hanno dovuto e saputo adeguarsi bene a questi nuovi standard tecnici, ritenuti ormai essenziali dal grande pubblico.
Pensiamo a un genere cinematografico come quello “superoistico” tipico dei cinecomics, genere certamente molto popolare, influenzato e rilanciato dall’avvento delle nuove tecnologie, ma anche da molti criticato -David Cronenberg su tutti- per il loro scarso contenuto artistico.
Già nell’ormai lontano 1983 con “Videodrome” il regista canadese aveva affrontato il tema del progresso tecnologico e dei mutamenti che può causare nell’essere umano. In “Videodrome” tra l’uomo e la tecnologia avveniva una vera e propria fusione fisica, con l’emblematica scena della videocassetta inserita nelle viscere del protagonista James Woods. Si trattava di una provocazione necessaria per mettere in evidenza le patologie connesse all’avvento delle nuove tecnologie.
È quindi lecito domandarsi se e come si possano conciliare questi due aspetti, artistico e tecnologico, e se le nuove tecnologie possano veramente cambiare il modo di fare e pensare il cinema, magari migliorandolo, oltre che mutare il suo rapporto con il pubblico.
Se ci poniamo dal punto di vista degli spettatori, il 3D ne è l’esempio lampante. Le nuove tecniche, pur dividendo molte volte il pubblico in fautori e detrattori, hanno cambiato certamente le modalità di consumo dei prodotti cinematografici, volte ad aumentare il coinvolgimento dello spettatore. Tuttavia il dubbio resta: si ha la sensazione che queste nuove tecniche rappresentino più un ingrediente extra, da aggiungere a un prodotto già confezionato e finito, con l’unico scopo di incuriosire il pubblico e di gonfiare il prezzo finale del biglietto.
Molto più interessante è l’analisi dell’evoluzione degli aspetti che influenzano le scelte delle case di produzione cinematografica, con la rete e i social network a giocare un ruolo fondamentale nella partita.
Sono proprio i social network ad aver ribaltato il rapporto produttori-pubblico, con un’ingerenza diretta di quest’ultimo nelle scelte delle case di produzioni, con commenti, like e condivisioni a fare da metro di giudizio aprioristico sul potenziale successo del film.
La rete influenza le scelte di mercato delle major nel campo cinematografico dettando in alcuni casi le linee guida per la buona riuscita della pellicola e in altri determinando la scelta di realizzare sequel, prequel e adattamenti di successi letterari.
Alla luce di queste considerazioni appare riduttivo identificare il pubblico come semplice fruitore e giova a riguardo ricordare la definizione di Monicelli: “il cinema è un arte industriale”. E in quanto tale dovrà sempre confrontarsi con i suoi destinatari: gli spettatori.
Più partecipazione del pubblico non significa però maggior qualità artistica. Il ruolo del regista consisterà dunque nel contemperare le esigenze dei vari portatori di interessi, pubblico, produttori e distributori, nei processi di realizzazione dei film.
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Articolo a cura di Luigi Luca Borrelli e Antonio Minutiello.
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