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14. Il treno

Creato il 18 dicembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su dicembre 18, 2011

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- Hai parlato nel sonno.
- E che avrei detto?
- Perché non ti decidi a dirlo tu?
La città, all’alba, è una pozza di luce in cui si riflette il desiderio più profondo. Il letto è sfatto: Fausto ha gli occhi semichiusi. A cosa stai pensando, Dalia? A quando hai attraversato la strada e per poco l’auto non ti ha preso? Eppure sarebbe così semplice: dimenticare tutto; perché, in fondo, essere gelosi? Pensi di conquistarlo con le unghie?
- Fausto.
- Dalia.
- Ti va di uscire?
Ha aperto gli occhi, guarda il camino incassato nel muro, le volte in mattoni gli ricordano le stanze appollaiate intorno alla basilica – sì, dove il frate l’aveva guidato per fargli vedere il panorama -, fissa le tende bianche con i fiocchi azzurri.
- Sono ancora innamorata.
Una pozza di luce: ma c’è un lato in ombra, indecifrabile, la serie di ponti che fugge verso l’orizzonte – sapessi scrivere, potrei inventare una storia che lo avvincesse per sempre, come Sherazade.
- Dalia, devo dirti una cosa.
Ti ricordi quando, per la prima volta, hai visto i monti dietro il duomo? La vita è un sogno, ma a volte ci svegliamo e proviamo un turbamento, per questo chiudiamo ancora gli occhi e immaginiamo la città affondata nella valle, la nebbia che sale come panna montata, le torri, le cupole, le luci del Natale che scendono come pioggia nelle strade.
- Avrei bisogno di un po’ di tempo per pensare.
T’avesse preso, la macchina, t’avesse sbattuta sull’asfalto, in una pozza di sangue – una pozza di luce, la città: ora è rosa e viola, come i festoni dell’ultimo compleanno organizzato insieme.
- Non ti costringo, Fausto, voglio rispettarti. A volte ho sulle labbra parole dolci che vorrebbero sbocciare, raggiungerti dentro. Ricordo il tempo in cui contemplavamo l’alba lungo il fiume: mi trascinavi con la mano e io ridevo e non c’era niente al mondo che potesse oscurare il nostro amore. Sono qua, per me non è cambiato nulla. Ho la stessa tenerezza nei pensieri, vorrei abbracciarti come allora, mentre ti radi, dirti dove hai lasciato qualche pelo, inseguire il tuo sguardo nello specchio. C’è un tempo che non può finire, come quando ci ubriacammo, nel locale irlandese, e mi chiedevi quante luci potessero accendersi dentro una città e io ti rispondevo tutte, tutte le luci del mondo, in una volta sola. Non ho niente da perdere, Fausto. E quella notte che eravamo nudi, sulla spiaggia, e intorno ballavano le stelle, il sorriso di Sirio, gli occhi azzurri di Vega? Ti lascio libero, ho già preparato la valigia, ci vediamo a casa, quando vuoi.
Chissà se passerà una macchina, Dalia, mentre attraversi la strada a passo svelto. A che ora parte il treno?


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