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1610, 1611...

Creato il 04 novembre 2014 da Massimo Citi
1610, 1611...
Sono i numeri dei due ultimi Urania, regolarmente acquistati in edicola e regolarmente letti. Due numeri assolutamente speciali? No, non si tratta di romanzi particolari o particolarmente recenti. Il 1610, Uomini in rosso di John Scalzi è del 2012 ed è stato premio Hugo 2013 (wow!) ma il 1611 - Angelo meccanico di Richard Paul Russo - è del 1992 (22 anni fa), è la ristampa di un Urania del 1998 e non risultano altre attività dell'autore dopo il 2005, ovvero dopo la pubblicazione del romanzo Rosetta Codex [*].
Tuttavia i due Urania hanno perlomeno una peculiarità comune, ovvero rappresentano due interessanti metamorfosi della fantascienza, trasformata in qualcosa che fantascienza non è. 
Ma andiamo con ordine.
Uomini in rosso è sostanzialmente uno scherzo, una bravata, un esercizio di stile particolarmente divertente, un gioco di carte condotto a una velocità notevoe, ma NON È un romanzo di sf. È fantascientifica la cornice, lo spunto, il tempo della narrazione - un futuro dove le astronavi e i viaggi interstellari sono una pratica quotidiana - ma il tutto è essenzialmente una cornice per una vicenda che ha il sapore di una vaudeville. Dovete infatti sapere, voi che non avete frequentato con la dovuta solerzia Star Trek, che nelle prime serie era un classico, dovuto al caso o al malanimo del costumista, che i personaggi che indossavano una tutina rossa fossero destinati a morire nel corso della puntata. Provate un po' a pensare: di che colore era la tutina di Mr. Spock? "Azzurra", già. E quella del dottor McCoy? "Azzurra", idem, molto bene. E quella del capitano Kirk? "Mmmm, verdina?" Tombola! I pezzi grossi, quelli destinati a durare, come si vede, non indossano la maglietta rossa. È pur vero che l'addetta alla comunicazioni, Uhura, l'unica attrice di colore della prima serie, aveva anche lei una tutina rossa, ma si trattava di un puro caso che non aveva attinenza con la dura realtà della morte fatale e inevitabile degli altri rossovestiti.
1610, 1611... Fatto si è che i membri dell'astrocorazzata Intrepid del romanzo scoprono che uno alla volta sono destinati a morire in circostanza grottesche, macabre e sanguinolente, sostanzialmente a causa della loro divisa rossa. Da qui parte lo spunto essenziale del romanzo che li porta a concludere che si trovano in un ramo temporale nato dall'infelice idea di uno sceneggiatore, e che il problema ora è quello di tornare indietro nel tempo per convincere il soggetto a rinunciare alla sua idea. 
Molto altro da spiegare non c'è. Il romanzo è veloce, ricco di dialoghi - che oscillano tra la sitcom raffinata e i modi stralunati di uno Jarry americano - sconclusionato ma non sgangherato e assolutamente privo di sense of wonder. Il buon Scalzi ha dichiarato di aver scritto il romanzo mentre era presidente del SFWA (Science Fiction & Fantasy Writers of America), carica peraltro tutt'altro che onorifica, costruendo qualcosa che è «Qualcosa di più della semplice parodia della fantascienza televisiva». Ed è vero, si tratta di uno spassoso esempio di metatesto [**] in ambito sf, un genere che ha rischiato spesso di essere troppo serio per permettersi giochi letterari. Certo, esiste il rischio nemmeno così piccolo di trovarlo stucchevole - rischio inevitabile utilizzando la cornice di una forma narrativa senza poterla animare - ma resistere alla sensazione di déjà vu può essere fecondo, soprattutto leggendo l'ultima parte del libro.
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Mmmmhhh, quanto spazio utilizzato per le tutine rosse. Cercherò di essere più stringato per il 1611.
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1610, 1611... Angelo meccanico è un noir, con un'ambientazione vaga - surriscaldamento dell'atmosfera, ghetti di emarginati, enclave chiuse e pericolose -, una serie di personaggi adeguati: Sookie, una ragazzina sbandata, Tanner un ex-poliziotto con un passato impresentabile e un amore fallito alle spalle, un serial killer angelicamente metallurgico e un vero poliziotto, Carlucci, che indaga, collabora e quando necessario agisce. 
La vicenda scorre abbastanza liscia e senza eccessiva sorprese e giunge al suo ovvio termine come da manuale, con un intervento dell'FBI nel finale non esattamente gradito. Angelo meccanico è in realtà il primo di una serie di tre gialli ambientati in un mondo futuribile con Carlucci, il poliziotto, nei panni del protagonista. 
1610, 1611... Novum? Sense of wonder? No, non se ne parla. Il mondo dell'angelo meccanico è la nostra Terra attuale, ingombra di rottami metallici e popolata da fabbriche abbandonate. Leggere Angelo meccanico è un'esperienza curiosa e sufficientemente divertente ma non ha nulla del brivido di razionale fantastico che può garantire un romanzo di sf. L'ambientazione sf-style finisce così per diventare un elemento del canone di una scrittura post-moderna, dove il noir è una versione alla moda del poliziesco tradizionale, gli emarginati sono "gli irregolari di Baker street" di sherlockiana memoria, ovvero gli irrinunciabili aiutanti, e il surriscaldamento ambientale diviene un elemento di sfondo tutto sommato banale, come il fango e la sporcizia nei bassifondi.
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Che altro aggiungere? Commentare le scelte dell'attuale Urania? No, non mi sembra il caso. Ne ho già parlato e non sembra il caso di ripetere cosa già dette. Tanto comunque non resisterò e comprerò anche il prossimo Urania, sperando che contenga fantascienza...  
 
 
[*] Nella presentazione di Urania all'autore viene indicato il Rosetta Codex come pubblicato nel 2005 e un romanzo successivo, Unto Leviathan, come pubblicato nel 2008. Il problema è che Unto Leviathan è il titolo dell'edizione "in the United Kingdom" di Rosetta Codex. Si tratterebbe, in apparenza, del medesimo libro, a meno che il nostro G.Lippi non ne sappia molto di più in proposito...  
[**] LING. Testo che contiene altri testi o che a essi allude.

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