da qui
E’ una strada stretta, gremita di gente: negli angoli, la merce povera dei venditori ambulanti attira gli sguardi dei turisti; voci cantilenanti ripetono inviti ad acquistare; si succedono serrande arancioni, negozi con tende srotolate per proteggere dal sole o le intemperie. Dopo una svolta, si inseguono le edicole cariche di abiti appesi a ogni gancio immaginabile, mentre ragazzi dalla pelle olivastra spingono carrelli troppo grandi per loro. Sulla sinistra, caschi di banane sembrano lampioni barocchi saturi di luce; un uomo in camicia beige e barba rada, con un libro sotto il braccio – la Bibbia, il Corano, un’agenda per gli appuntamenti? -, scivola rapido tra chiosco e chiosco, mentre due soldati sono fermi a un incrocio, chiacchierando guardinghi col fucile a tracolla. Una donna con gli occhiali da sole e il velo bianco sfiora il braccio di Yehouda, che si chiede se Gerusalemme sia la capitale delle tre religioni monoteistiche mondiali o non, piuttosto, un ammasso informe di bancarelle e di negozi. Sotto un arco fitto di piante rampicanti, urta un uomo dai capelli ricci, giacca grigia, maglietta nera e collana di corallo.
- Mi scusi…
- Mi scusi lei…
- Ci siamo già visti?
- Ho una faccia piuttosto comune.
- Porta sempre tutte quelle penne?
- Sono un giornalista, mi chiamo Chlomo.
- Io Yehouda. E’ in cerca di notizie?
- Voglio intervistare l’uomo di cui tutti parlano, Yehochoua.
- Lo conosco bene.
- Dicono faccia miracoli.
- Il miracolo è entusiasmare la gente, far credere in qualcosa.
- Non è da tutti. Dicono che dia fastidio a più d’uno, con le idee di giustizia e di uguaglianza.
- Non basta avere idee: bisogna realizzarle, incidere nei meccanismi del potere.
- Mi porta da lui?
- Perché no? Mi segua.
Scendono insieme, facendosi largo tra la gente; sulla facciata di una casa, scritto su una piastra di ceramica, appare un segnale bilingue: Via dolorosa.