da qui
Il bar ha una sala interna dove ci si può appartare e parlare senza essere ascoltati, poi magari ti mettono la cimice nella zuccheriera, le pareti sono verdi; nei quadri appesi, suonatori e danzatrici d’altri tempi, ci vorrebbe una vacanza a Parigi, al Crazy Horse, il soffitto è a travi in legno scuro, un lampadario pende dal centro come una corona d’oro, abat-jours e plafoniere sono sparsi nel locale creando punti luce ben armonizzati, sembra la sala d’aspetto di un casino, due o tre piante stazionano in posti strategici, un ficus? una yucca? un filodendro? il tappeto è a fiori, dello stesso colore delle poltroncine.
- Ci credi al giudizio del Messia?
- Credo a quello che ci tira fuori dalla merda.
- Mi chiedo se non sia Yehochoua.
- Con lui ci siamo dentro fino al collo.
- Non mi piace quando fai il cafone.
- Tu e i tuoi occhi azzurri: siete tutti uguali. Lo capisci che bisogna agire? Lui fa i miracoli, a noi fanno il culo.
- Ti sei svegliato male?
- Ho un pensiero che m’insegue da stanotte.
- Quale?
- Ricordi quando hanno sparato al mercatino?
- Sì.
- Ho studiato le foto matoriali dei telefonini: ci sono tre tipi che ho intravisto più volte, in questi giorni. Anche perché tra loro c’è una gnocca da paura.
- Dici la bionda? Non l’hai vista solo tu.
- Non dirmi che cominci a svegliarti.
- Non mi conosci ancora, Yousef.
- Ah ah ah! Zitto!
- Cosa c’è?
- Eccoli là, il mondo è piccolo.
Si siedono a un tavolo vicino, continuiamo a parlare, come niente fosse, posano un foglio scritto sul tavolino tondo, sta a vedere che riusciamo a leggere, si capisce che è la donna che dà ordini, però, che gran pezzo di fica, e smettila, cafone, riescono a carpire le parole-chiave, Nathane ed Eleazar, martedì, Muro occidentale, è fatta, fratello, organizziamoci.