Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 21, 2011
da qui
All’inizio sembra facile, ma i problemi arrivano col tempo.
Qualcuno mi spieghi perché, da cittadino, non posso esprimere il mio voto, il mio parere.
La strada procede tra fiori selvatici e cespugli, sembra che la natura voglia salutare, lasciarsi coinvolgere nel dramma delle donne e degli uomini che incontra.
La gente comincia a criticare, da destra e da sinistra: per qualcuno sei troppo radicale, per altri troppo moderato.
Non hai diritto a dire la tua per lo sviluppo del paese, non sei degno di fare una proposta, una critica, un progetto.
Ti senti meno solo, con lo zaino a tracolla e la maglietta a righe, avanzi dondolandoti su scarpe troppo grandi, le margherite bianche ti accarezzano, ti piace sentire addosso i petali morbidi, come le mani della mamma.
Ho provato a spiegare che l’integrazione porterà vantaggi per entrambe le parti, che la ricchezza della nostra razza sarà messa al servizio del progresso.
Forse hanno paura della marea montante di chi finora non ha mai parlato, di chi si ritiene abbia solo il dovere del silenzio.
Poter camminare verso la scuola a testa alta, non avere paura di trovarti tra gente che ti squadra, ti guarda dall’alto in basso, con disprezzo.
Ho messo la mia retorica al servizio della causa e hanno criticato pure quella; qualcuno preferiva il reverendo che faceva cantare, gridare, slogan, prego, siamo gente semplice, per unirci dobbiamo ritrovarci intorno alle parole.
In piazza, in piazza, devono imparare il suono della voce, sapere che possiamo anche noi sederci intorno a un tavolo per trovare le idee del mondo nuovo.
Perché procedo a fatica, all’improvviso, quali pensieri mettono in fuga cespugli e margherite, mi circondano la testa fino a nausearmi?
Sapevo che un leader non ha una vita facile, che diventa il bersaglio preferito dello scontento personale, ma io sono così, non posso dare che me stesso, fino in fondo.
Mi chiedi cosa voglia dire mondo nuovo? Cominciamo guardandoci negli occhi, accorgiamoci che siamo simili, anzi, che io sono come te.
Perché ridono e mi spingono, proprio ora che le gambe non mi reggono e ricordo la volta che mio padre mi trascinò nella polvere come in un film western, perché mio cugino mi accusava ingiustamente?
La scuola uguale per tutti e il voto universale: ecco due buone ragioni per non tirarsi indietro, anche se le appoggiano baionette affilate sopra il petto e le dicono vattene cagna negra, torna indietro.
Non ti sembra che un bambino nato nel tuo posto abbia diritto alla cittadinanza? In cosa può mai essere diverso?
Sei caduto, la cartella è lontana mille miglia, non ce la fai a raccoglierla, non ce la farai a raccogliere ancora la tua vita.
I bianchi non vogliono mollare, convinti che le ragioni del tempo siano le migliori: se finora è stato così, perché cambiare?
Se pago le tasse, per quale motivo dovrebbero impedirmi di votare? Sono o non sono un abitante della tua città, o mi consideri un pidocchio nei capelli, una zecca sulla pelle di un cane?
Mi prendono a calci ma, per un momento, mi accorgo che non sono io la vittima innocente, è la creazione, l’universo, mi accorgo che una lacrima scende lentamente sulla guancia di Dio, sento, in un istante che non potrò dimenticare, che Dio ha la mia faccia, le mie gambe stanche, che ha bisogno anche lui di una carezza morbida dalla mano di mia madre.