Duk, il folletto dispettoso di Angela Visalli Creatura: Folletto
I C'era una volta nel mondo e forse adesso non vi era più: la fantasia.
Si era persa nelle pieghe della vita di tutti i giorni, con le sue mille difficoltà, la crisi che ogni giorno avanzava o gli acquisti tecnologici dell'ultima ora, a cui nessuno riusciva a dire di no. Sin da bambini si era abituati a non utilizzarla più: i cartoni, la tv, giocattoli pieni di luci e suoni, videogiochi graficamente spettacolari, tutto la rendeva superflua. A che serviva un po' d'immaginazione se già tutto era stato immaginato da qualcun'altro? Solo alcune persone ne restavano ancora portatrici sane: coloro che possedevano un animo puro e semplice, ma erano difficili da scovare, lo sapeva bene Duk.
Duk aveva deciso di non voler essere più solo, ma non riusciva a trovare nessun amico con cui conversare. Gli uomini erano diventati incapaci di vedere la sua magia. Per cui se ne andava indisturbato in giro, senza che nessuno se ne rendesse conto o sapesse della sua esistenza. Ogni tanto rubava un po' di latte e qualche biscotto, di cui andava matto, dopotutto doveva pur campare. Ma la sua solitudine aumentava di giorno in giorno.
Era difficile essere un folletto, specialmente se eri l'ultimo della tua specie. Frutto della fantasia dell'essere umano, ormai non ne nascevano più di nuovi e per questo era rimasto il solo. Duk era giovane, malgrado dimostrasse molto più degli anni che avesse in realtà. Avere una famiglia, degli amici, innamorarsi: erano tutte cose che il nostro folletto non aveva mai provato. Certo aveva avuto dei genitori, ma li aveva anche persi quando era molto piccolo, non avendo altri fratelli o parenti, aveva dovuto da subito imparare a cavarsela da sé.
La sua altezza non superava i quaranta centimentri e questo gli creava qualche problema, sopratutto quando doveva procurarsi del cibo, gli umani hanno la brutta abitudine di ripore le scorte sempre nei ripiani più alti, pensava fra sé e sé mentre si arrampicava sui mobili di una cucina. Il suo corpo era ricoperto di peli, sparsi un po' ovunque, di cui andava molto fiero, come del suo naso lungo e delle sue gambe mingherline. Per quanto riguarda il vestiario, non era facile procurarsi degli abiti di cosi ridotte dimensioni, non ho mica intenzione di vestire come un neonato, pensava mentre rattoppava per l'ennesima volta i pochi vestiti, che era riuscita a confezionargli la madre prima di morire. Rozzamente vestito, mingherlino, con il viso da vecchietto e pieno di peli, non era certo un bel vedere. L'aspetto fisico non è quello che conta, si ripeteva Duk nel suo animo sensibile e dolce come quello di un bambino, tanto gli uomini non sono più in grado di vedermi.
Intanto il mondo e la società intorno a lui puntavano tutto sull'aspetto, la civiltà dell'apparire la chiamavano, per uno invisibile frutto dell'immaginazione era come uno schiaffo in un occhio.
L'unico passatempo del nostro Duk era quello di fare degli scherzi poco simpatici per gli abitanti delle dimore dove si soffermava, per poi ripartire sempre all'avventura. Nascondeva calzini, faceva sparire gli oggetti, spargeva a terra un po' di farina, sbatteva porte e finestre o cadevano a terra dalle mensole gli oggetti da lui spinti. Non erano azioni volutamente cattive, il suo intento era solo provocare una reazione in coloro che lo circondavano. E le reazioni erano delle più varie, chi saltava in aria per lo spavento, chi chiamava il prete per farsi benedire la casa, chi addirittura si procurava qualche medium o credeva nei fantasmi. Persone completamente convinte che a infestare la propria abitazione fosse un parente morto da tempo, quando in realtà era il dispettoso folletto a prendersi gioco di loro.
Un giorno Duk decise di fare uno dei suoi soliti scherzetti: entrare nella stanza di un ragazzino la notte, mentre tutti dormivano, per provocargli un brutto incubo. Una cosa semplice per un folletto esperto. Ma il piano fallì quando, dopo essersi introdotto furtivamente nella camera, malgrado non ne avesse bisogno, trovò il ragazzino in questione sveglio. Era intento nel fare qualcosa di cui lui ignorava l'esistenza.
II
Arthur in quella notte di luna piena non riusciva a prendere sonno. Come al solito i suoi genitori anche quella sera avevano litigato. Non vi era nulla su cui andassero d'accordo, scattavano per ogni stupidaggine, l'amore che avevano dovuto provare in passato per poterlo mettere al mondo era ormai dimenticato. Per cui stufo di quella situazione, si era rifiutato di cenare insieme a loro, andando direttamente a letto. Dopo che la rabbia era stata un po' smaltita, il suo stomaco iniziava a reclamare il cibo poco prima rifiutato, ma Arthur non aveva nessuna intenzione di riscendere nuovamente.
In un primo momento si mise a letto, ma il sonno stentava ad arrivare. L'unica soluzione che gli venne in mente per non pensare, fu di mettersi a comporre. Andò cosi nella scrivania ed estrasse da un cassetto la penna preferita e il quaderno dove appuntava i suoi pensieri. Quando era triste gli piaceva immegersi in mondi straordinari e magici creati solo dalla sua fantasia. Tutto era perfetto in questi mondi chimerici e lui era il Signore del bene e del male. La penna iniziò a scorrere sul foglio bianco e la magia prese forma: semplici vocali e consonanti, una dopo l'altra, si univano per formare parole, frasi, periodi, in cui il protagonista era la fantasia.
Mentre scriveva sotto la flebile luce della lampada, notò qualcosa sgusciare via veloce, non riuscì però a capire di cosa si trattasse. Un topo nella mia stanza? Pensò spaventato.
III
Duk, dopo vari tentativi, capì che il ragazzo presente in quella stanza riusciva a scorgere i suoi movimenti. Era felice, ma allo stesso tempo impaurito per quella scoperta. Finalmente qualcuno capace di sognare, ma se non gli dovessi piacere? Pensò il folletto, tanto vale provarci si decise alla fine. E così si arrampicò sulla scrivania del ragazzo, ponendosi di fronte, e aspettando una sua reazione.
Arthur non aveva mai visto niente di simile, un essere alto appena trenta o quaranta centimetri circa si trovava in piedi sul suo scrittoio e lo fissava in attesa. No, non era possibile, nella realtà non esistevano queste cose, nella realtà esistevano solo le ingiustizie, i sopprusi, certo non esistevano le creature magiche, il popolo fatato o tanto meno i folletti.
Perchè non dice nulla, ha forse paura di me? Questa e tante altre domande affollavano la povera testolina del nostro folletto, quando finalmente Arthur si decise a parlare.
- - Non posso credere tu sia qui, i folletti non dovrebbero esiste, certo a parte nelle storie di cui ogni tanto scrivo. Disse Arthur sicuro di sé. - Scrivere? In cosa consiste, non conosco quest'attività. Chiese il folletto molto interessato all'argomento, doveva capire cosa stesse facendo il ragazzo. - Non sai cosa sia scrivere? Ah non sai che ti perdi, potrei descriverti l'atto in sé, ma non riusciresti lo stesso a capirne l'essenza se non la vivi. Io scrivo per essere protetto dalla mia storia e perdermi in essa. Mentre parlava gli occhi del ragazzino si illuminarono di una luce intensa, era vero Duk non riusciva a capire di cosa stesse parlando non avendone mai avuto esperienza, ma capì di avere una speranza.- Forse ho un'idea che potrebbe aiutare sia me che te, ma ora è tardi e devo andare. Te ne parlerò domani notte quando tornerò. Ma mi raccomando non parlare con nessuno di me, altrimenti non potrai più vedermi. Gli adulti ti farebbero credere che non esistiamo e io sparirei per sempre
- - D'accordo ci sto, ti prometto di non parlare con nessuno della tua visita, hai la mia parola. E cosi rincuorato dalla promessa il folletto Duk sgattaloio fuori dalla finestra, trasformandosi in un agile gatto che saltò sull'albero di fronte, per poi sparire nell'erba del giardino sottostante.
IV
La sera seguente Arthur era in trepida attesa del suo nuovo amico. Aveva mantenuto la promessa, non ne aveva parlato con nessuno: né con i genitori che la mattina a colazione l'avevano visto particolarmente euforico, malgrado la sera precedente; né con i compagni di scuola, a cui di solito raccontava le ultime novità. Era stato difficile mantenere il segreto, più volte era stato sul punto di rivelare tutto. Sapete stanotte ho visto un folletto, sarebbe stato bello vedere lo stupore dei suoi amici materializzarsi davanti a lui, ma si era morso la lingua più e più volte e aveva continuato cosi la giornata, fino a sera.
Duk si era appena svegliato dal suo sonnellino, di solito i folletti stavano svegli di notte per dormire poi il giorno, ed era intento a tornare dall'unica persona in grado di vederlo. Sprizzava gioia da tutti i pori, ho una speranza, ho una speranza, continuava a ripetersi nella mente. Giunse nella camera e con un gesto agile sali sul letto dove vi si trovava sdraiato il giovane.
- - Ora posso rivelarti la mia idea, ma prima dovevo tastare la tua lealtà. Ora so che mi posso fidare, per cui ti racconterò la mia storia. Si, sono un folletto, ma sono anche l'ultimo della mia specie. Siamo il frutto della fantasia degli esseri umani, ma ormai poche persone sono in grado di utilizzarla. Per fortuna tu ne sei ancora capace. Non avendo raccontato a nessuno della mia presenza hai diritto a un desiderio, ma in cambio dovrai fare qualcosa per me. Disse il folletto Duk tutto di un fiato, avendo timore di perdere il filo del discorso. Si potrebbe funzionare, deve funzionare, erano le uniche cose a cui riusciva a pensare. - Che genere di desiderio? E cosa dovrei fare per te? Arthur era incuriosito, un desiderio? Cosa mai potrei volere? E cosa mai potrebbe volere un folletto da un ragazzino come me. - Puoi desiderare qualsiasi cosa, sia che esse siano cose materiali, sia che siano altro, qualsiasi pensiero dimori nel tuo cuore. Deve accettare, è la mia unica possibilità di non essere più solo, Duk sperava con tutto sé stesso che il suo unico desiderio si avverasse. - Ok acccetto, come funziona? Cosa devo fare? - Bene allora esprimi il tuo desiderio, ma non ad alta voce altrimenti non si avvererà. Pensalo dentro di te, sentilo nel tuo cuore, solo cosi diverrà realtà. E cosi dicendo Duk notò il giovane concentrarsi, riflettere, pensare, ed esprimere il suo desiderio nel profondo della sua anima. - Ok ho fatto. Ora cosa devo fare per te? - Benissimo, se ora mi aiuterai il nostro patto sarà completo ed entrambi avremo ciò che più desideriamo. Ti ricordi ieri sera cosa stavi facendo prima del mio arrivo? - Certo, stavo scrivendo. - Benissimo. Vorrei che scrivessi una storia. Una storia che parla di un folletto dispettoso di nome Duk. Un folletto che si sente molto solo, ma che un giorno, in una stanza di un ragazzino, incontra un'altra folletta e insieme formano una coppia. Un'unione felice per l'eternità. - Facile, non mi sembra complicato. Aspetta vado a prendere carta e penna. Cosi dicendo Arthur si alzò dal letto e andò a prendere il suo block notes e iniziò a comporre la storia.
- “C'era una volta un folletto di nome Duk, era l'ultimo della sua specie o almeno cosi credeva, fino ad un giorno. Un giorno molto speciale in cui incontrò la sua anima gemella... “
La mattina seguente Arthur si svegliò presto, la testa ancora confusa dal sonno, aveva come l'impressione di aver dimenticato qualcosa, ma non sapeva cosa. Doveva aver fatto tardi scrivendo, o forse un qualche sogno aveva tormentato il suo riposo. Sta di fatto che non riusciva a non pensare ad una strana creatura di nome Duk, ma chi fosse non ne aveva idea. La mia fantasia ogni tanto mi gioca brutti scherzi, pensò mentre si vestiva per scendere di sotto a fare colazione.
Proprio mentre si trovava sulle scale, guardando di sotto in cucina, notò una scena che lo fece rimanere a bocca aperta. I suoi genitori si scambiavano tenere effusioni, mentre parlavano complici di qualcosa, niente di straordinario certo, ma Arthur non era abituato a vederli in tali atteggiamenti. Gli occhi di entrambi brillavano di una luce strana, era forse amore? I difetti dell'uno e dell'altro erano dimenticati, quello che contava in quel momento era volersi bene e voler bene al loro bambino.
Arthur ancora confuso si presentò davanti a loro, e questi appena lo videro gli saltarono addosso per abbracciarlo. Non riusciva ancora a credere a ciò che stesse vivendo, l'unica cosa che riuscì a pensare fu di ringraziare uno strano folletto dispettoso di nome Duk.