Lullaby to my Father di Amos Gitai
Shot fotografici, lunghi stream of consciouness – come il monologo iniziale – estesi piani sequenza di rotaie, binari che s’intersecano e si risolvono vasti nei racconti dei protagonisti, quei figli e parenti e testimoni che ricordano il lato parallelo e continuo della tragedia della guerra. Al protagonista, cui si dedica l’assenza più colma d’acume , si pone in contrappunto una delicatezza e un rigore storico che seduce per l’essenzialità con cui la macchina scenica si costruisce – brano a brano – insistendo nella considerazione che la rivoluzione artistica è anticipatrice di quella politica, e la soppressione di questa, preannuncia un rigore sociale che comunemente etichettiamo sotto il nome di regime. Un film eccellente e difficile – con la fotografia, tra gli altri, di Gabriele Basilico – che sostiene la bellezza di una pedagogia che fu innovativa e libera, pur essendo nata dalla costola di un movimento proibizionista e retrogrado, meschinamente univoco e sterile.