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74. I raggi bianchi

Creato il 30 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 30, 2011

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La Città degli angeli m’impartì una lezione decisiva.
Il fumo genera macchie irregolari; mi piace vedervi le forme più impreviste: un albero di natale piegato verso destra, un ippogrifo imbizzarrito, una fontana dal getto tutto nero.
La vita è una strada bagnata dalla pioggia, dove i passi hanno un’eco marina e i riflessi sono ombre che si allungano sui desideri più nascosti, i progetti interrotti.
Quando arrivai, mi accorsi che non mi conoscevano, nessuno aveva sentito parlare del pastore della non violenza.
Ora si vede una befana che vola sulla scopa, un’odalisca che danza lentamente, un drago che sputa fuoco protendendo il collo come una gru che domina il cantiere.
E’ un corridoio grigio che si affaccia su stanze tutte uguali, una strada buia, illuminata da fari di macchine sfreccianti.
Qui si era scelta la via della durezza, del muro contro muro: non c’era posto per le mediazioni, per tessiture pazienti e diposte ad aspettare.
Le forme più strane sono le più ordinarie: un uomo che si spolvera il vestito, un atleta che accelera in vista del traguardo, una bimba che piange e fa i capricci.
Poi, all’improvviso, appare un angelo dalle ali nere: non sai da dove sia piovuto, se sia buono o cattivo; non sai nulla, ed è questo il tuo tormento.
Com’è possibile che non abbiano sentito parlare di Martin Luther King?
La vita è una corsa verso la piazza invasa dagli incendi, un inseguire il fumo che danza, danza, e non riesci a sentire a quale musica.
Possibile che dopo tante lotte, a rischio della vita, le bombe che distrussero la casa, le minacce di morte, gli scontri con i troopers più feroci, possibile che nessuno abbia sentito parlare di Martin Luther King?
La striscia di fumo ingoia le macchine come le speranze – che fine hanno fatto le speranze che ti facevano volare, in quale parte del cuore si sono dissolte senza che potessi fare nulla?
Cerchi di guardarlo in faccia, ma cogli solo immagini scomposte che tenti di toccare: ti rendi conto che fuori non esistono, che, dio mio, sono solo nella mente.
Provi a dare un senso all’ignoranza: sarà una vita disperata, la perdita di ogni valore, la voglia di morire piuttosto che essere nessuno.
Corri, corri, mentre gli agenti si schierano compatti, le maschere antigas, i caschi pesanti, gli scudi da legionari d’altri tempi.
Forse sei tu l’angelo enigmatico dalle ali nere, sei sicuro di poter volare, stai per lanciarti giù, soltanto all’ultimo ti ferma la mano di un amico.
Non capisci i ragazzi contenti di aver travolto tutto, contenti nonostante i trentaquattro morti, ti chiedi cosa manchi al movimento che ormai pare diventato cieco, perché quando non avverti il dolore dell’altro, quando sei barricato nel tuo io, davvero non c’è più speranza, il bambino che è in te ha finito di sorridere.
Corri, corri, la piazza è un inferno di bottiglie in fiamme, di pietre gettate senza neanche inquadrare l’obiettivo; è un fucile imbracciato che spara, spara – mamma, quanto manca alla fine? Voglio tornare a casa.
Cos’è successo, perché mi trovo qui? Hai cercato di buttarti giù, amico mio, una dose troppo forte. Ho sognato di saltare, in un giorno tutto azzurro, di volare sopra le mille luci di una città felice, d’immergermi in un mare di spighe dove si potevano toccare i raggi bianchi del sole.


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