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76. Prima o poi

Creato il 01 giugno 2012 da Fabry2010
Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 1, 2012 da qui - E finì lì? - Finire è una parola impegnativa. Il ménage con Eleonora era sempre più complesso, faticoso. Gli unici momenti sereni erano quelli nella casa al mare, le ore passate sotto il sole a sognare chissà cosa, perché non sai mai se i sogni dell’uno s’incontrino con quelli dell’altra. Almeno non ci sono motivi per entrare in conflitto, si stabilisce una tregua fatta di creme spalmate sulla pelle, di pizze al taglio consumate al banco del bar insieme con la birra, il caffè e la sigaretta che, ecco, non voleva che fumassi. Hai pensato tante volte di tornare là, di capire se ci fosse qualche traccia del vostro fallimento, o un filo da riprendere per allacciare di nuovo i vostri sogni, che forse non si erano incontrati, come spesso accade. Hai pensato di tornare a Serapo, nelle grotte dove il mare era un film che guardavate sdraiati in attesa di un’apparizione, o la spiaggia di Santo Janni, dove cantavate in comitiva e tu eri turbato dal senso di colpa di fronte all’ex fidanzato dai capelli rossi, e ti chiedevi se sarebbe giunto il giorno in cui anche tu saresti stato piantato, e avresti dovuto sopportare la presenza dell’altro su una spiaggia notturna, intorno al fuoco. In quel momento ti veniva in mente Sonia, fidanzata col tipo con gli occhiali che scriveva chissà quali opere teatrali, che rifiutavi di leggere per partito preso; ma lì, sulla spiaggia, dimenticavi tutto, Sonia ti guardava come sempre e ti chiedevi se esista un amore che sogni i sogni giusti, che sia contento di quello che ha, che non abbia sempre e soltanto voglia di partire. - Da cosa stai fuggendo, Dante? - Fuggire è una parola impegnativa. Rincorrere, semmai. Mi è sempre sembrato d’inseguire un amore che svoltava dietro l’angolo e temevo di trovare mutato, nella nuova situazione. Con Sonia ci vedevamo a intervalli irregolari. Lo ritenevo normale, trattandosi di una che ricordava di festeggiare un compleanno ogni quattro. Era come un refrain: canti le strofe, lunghe quanto vuoi, ma poi sai che ti ritrovi lì, al ritornello, che attendi come una valvola di sfogo, una liberazione. L’hai rivista in ufficio. Si presenta così, senza preavviso, con un abito scuro, quasi vestita a lutto. Non dice una parola, come sempre. A lei basta guardare: ci sono quattro anni di silenzi da riempire col verde dei suoi occhi, che dicono tutto con un lampo. Ti avvicini, le prendi la mano e senti che la stringe, come la sera dell’Arena, quando a un tratto se n’era andata via. Ti chiedi se il tempo scorra via davvero o sia una nota che torna sempre uguale, un carillon che ti addormenta e fa sognare sogni che un giorno, o una notte, si dovranno abbracciare, prima o poi. Like this:Mi piaceBe the first to like this post.

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