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79. In diritto

Creato il 04 giugno 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 4, 2012

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E’ incredibile Parigi, vista da qui: un reticolo ordinato, un disegno fatto di triangoli in cui si stipano le case tutte bianche, almeno così sembra, ed è normale: tutto quello che appare da lontano ha una forma soffice, neutra, un aspetto piacevole e indolore; solo quando ti avvicini, quando sei ad altezza d’uomo, ti accorgi della tensione che corre lungo i muri, l’ambizione che logora la gente, la disperazione che l’atterra, la solitudine da cui spesso è divorata; solo allora ti accorgi dell’accostamento incongruo dei colori, l’aura divina della star, la puzza d’alcol del barbone, l’arroganza innocente dei ragazzi di scuola. Anche la tua vita, contemplata dall’alto, diventa tollerabile: non avverti più il senso d’incompiuto che ti perseguita e costringe a interrompere ogni esperienza sul più bello. Spingi lo sguardo fino all’orizzonte, alla linea in cui la terra tocca il cielo, in cui tutti i desideri si realizzano, dove si scioglie l’attesa eterna di un epilogo, e tutte le ipotesi, le previsioni, le scommesse, cadono per lasciare il posto alla realtà, all’obiettivo raggiunto, al progetto realizzato. Ma perché non sei sicuro che almeno lì troveresti le risposte, ti sentiresti appagato, se non proprio felice? Per un momento, ti sembra che la condanna a interrompere il corso della storia sia un modo per evitare la delusione più terribile di trovare qualcosa che non corrisponda ai sogni di partenza; guardando la città, senti che per amare la vita bisogna tenersene a distanza, non lasciartene ferire, racchiuderla in uno sguardo solo, come il turista distaccato che non ha radici, non vede il groviglio delle vie, la macchia bianca della case come il teatro dei propri dolori, il bruciore dei rospi indigesti che ingoia rassegnato, giorno dopo giorno. Eppure non puoi rimanere sempre qui: è questo il motivo per cui decidi di finirla, di ricongiungerti alla terra solo per dirle definitivamente addio? Ti vedi lanciare un’ultima occhiata al panorama che ti ospita ancora per un attimo, che non è stato abbastanza accogliente per suscitare il desiderio di trasformarti da turista in cittadino; l’unico senso possibile è un rifiuto drastico, la libertà di proclamarti estraneo al gran pastrocchio del mondo, la dignità di chi non è disposto a tutto, di chi ha un’idea alternativa della vita e, ora, della morte. Alzi la gamba per superare la ringhiera, una lacrima ti scende sulla guancia: non vuoi darle importanza, c’è sempre una nostalgia residua persino nel più convinto dei destini.
- Hai notato la macchia blu del fiume?
Ti volti: negli occhi azzurri e grandi che non puoi fare a meno d’incrociare scorgi la faccia seria della Battistoni, lo snobismo di Aldo Bises, i cornetti di Rossana, le partite clandestine al triangolo verde del laghetto; ti sembra di toccare con mano le gomme allineate da Manzetti, la merce varia del Minimax – massima qualità, minimo prezzo -, e, per un istante, ti appare la bambina che corre, corre, e gridi un’altra volta, senza stancarti, perché ti senti in diritto, ora, di saperne il nome.


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