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79. Perché si chiama cielo

Creato il 25 luglio 2011 da Fabry2010
79. Perché si chiama cielo

da qui

Si arriva attraverso una strada incassata tra le mura, oltre le quali s’intravedono a stento alberi e cielo. Tutto intensifica l’attesa, prepara una svolta, qualcosa destinato ad apparire dietro l’angolo del tempo e dello spazio. Proseguono in silenzio, i passi misurati su sintonie incomunicabili, segrete. Dal buio di un viottolo spuntano due anziani, orientati a testa bassa in direzioni opposte; anche i loro gesti sono lenti, come se la forza di gravità si svigorisse. Coenaculum, c’è scritto in cima a un muro; oltre, s’indovinano le palme – oshi hannah, salvaci, Signore. La statua di un santo si affaccia da una nicchia; saluta come può, dal suo mondo di pietra. In cima a una scala, l’indicazione d’ingresso in arabo e in inglese. Ecco: gli archi e le colonne, la sala al piano superiore, i discepoli andarono e trovarono come aveva detto loro, memorizzare la via, annotare i dettagli, l’ulivo che danza contro il cielo, la strada incassata nella nebbia, i cipressi, la chiesa che appare nel ritaglio di piazza visibile da qui. Dov’è la città? Jerushalaim, quante volte ho voluto raccoglierti sotto le mie ali, come fa una chioccia con i suoi pulcini, e la nuvola che viaggia sul monte Tsion, le mura che salgono a zig zag verso la linea dei pini e la basilica che veglia sulla cima.
- Quando vedrete una borsa abbandonata, all’interno del tempio, non chiedetevi perché: fuggite.
Sui capitelli sono accese luci che incendiano le arcate.
- Quale tempio, Yehochoua?
Sono giorni che si comporta stranamente, vengono a cercarlo i suoi parenti, dicono che abbia perso la ragione. Un ramo d’albero secco dondola davanti alle finestre.
- Ma sappiate che non tutto sarà bruciato e dilaniato. Qualcosa rimarrà intatto, alla destra dell’altare.
- Dicono che esista.
- Cosa? Eleazar guarda per terra.
- Uno scritto del Mashiah.
- E’ così importante?
Eleazar ha il volto scolpito nella roccia, capelli, naso e bocca formano un rettangolo compatto incorniciato dalla barba:
- Significherebbe toccarlo, sentirne l’odore, stringergli la mano.
Nathane ha una faccia da dotto: occhialetti con montatura leggerissima, sguardo critico, labbra piegate verso il basso:
- Non cambierebbe nulla.
Gli occhi di Yoh’anan brillano di luce propria:
- C’è il deserto, tra noi e la verità: la distesa di sabbia piatta, infeconda, inospitale.
Eleazar alza lo sguardo: uno spiraglio d’azzurro tra le pareti lisce del canyon.
- Dio non scrive nulla.
- Quando l’ultimo boato sarà ingoiato dal silenzio e resteranno le grida dei feriti, i pianti delle donne, entrate, prima che ci pensi qualcun altro, prima che finisca nelle mani di chi non può capire.
- Yehochoua, di cosa parli?
Dalla porta in ferro si scorge la chiesa dipinta sull’azzurro.
Papà, non mi hai detto perché si chiama cielo.



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