Magazine Astronomia

“E’ così che progredisce la scienza”

Creato il 30 settembre 2011 da Stukhtra

Fermate quei neutrini! 

di Massimo Biondi

Voglio che qualcuno fermi quei neutrini nella loro corsa folle per arrivare presto, molto presto, quasi subito, al traguardo. Per arrivarci – come sembra – prima della luce, che pure tanto piano non andava. Voglio che qualcuno li fermi, o quanto meno provi a intralciarli e rallentarli un po’, così da farli arrivare con calma. Lo voglio per una serie di motivi, ma soprattutto perché sono stanco. Un po’ anziano e stanco. Vi state chiedendo che c’entra la mia stanchezza con la corsa a precipizio dei neutrini? Beh, se avrete la pazienza di arrivare in fondo a quest’articolo lo capirete.

Tutto nasce dal fatto che della scienza mi sono innamorato presto, nella mia vita. Probabilmente in qualche indefinibile momento durante il corso del mio iter scolastico, verso i 13 o 14 anni. Mi ricordo in particolare di un libro responsabile di questo innamoramento, un libro dove si parlava di natura, cioè di come sono fatti il mondo e l’essere umano, ma anche di scienza vera e propria, cioè di come si fanno le ricerche, gli studi, gli esperimenti, per scoprire come sono fatti il mondo e l’essere umano. E quella è stata la mia prima impressione della scienza che, come il primo amore, non si scorda mai: una serie di informazioni e di dati, strettamente unita alla conoscenza degli esperimenti eseguiti per raccoglierli, delle idee che li hanno guidati e dei metodi che sono stati seguiti.

Mentre crescevo, tutti questi concetti si sono fatti più dettagliati, completi, numerosi, e in pochi anni mi son fatto un’idea – credo – abbastanza buona di com’è fatto il mondo e di come si fa ricerca. Quanto meno in certi campi, perché per tutto sarebbe impossibile. Ma a questo punto è cominciata a succedere una cosa strana. Dapprima sporadicamente, poi sempre più spesso, alcune delle conoscenze certe già acquisite hanno cominciato a vacillare, a sfocarsi, a dissolversi, a trasfigurarsi, lasciando intravedere la necessità di essere sostituite da altre “nuove” o “più esatte”. Diverse. E io, in buon ordine, mi sono adeguato.

Ecco, ad esempio, che perfino l’atomo si è disintegrato. Da quel piccolo sistema solare disciplinato che mi avevano insegnato a scuola, costituito nella mia mente di ragazzo in forma di palline (elettroni) in rotazione attorno a una specie di mora (rugoso aggregato di grosse particelle, cioè neutroni e protoni), si è trasformato in un folle disordine di “cose indistinte”: né palline né onde, ma contemporaneamente palline e onde, che se ne vanno chissà dove saltabeccando dispettosamente a tutta velocità nei campi aperti dell’universo.

La luce, che sembrava fatta di tanti immoti raggi che dal Sole giungevano al salone di casa mia trasportando qualche minuscolo frustolo di polvere, e che potevo scomporre con comodo (tanto sta sempre lì!) in una manciata di colori facendola passare per quell’affascinante oggetto trasparente chiamato prisma, non sembrava avere molti altri misteri, oltre al fatto di creare negli specchi incomprensibili immagini “capovolte” solo in senso orizzontale e non verticale. Invece a un certo momento si è messa d’impegno a sconvolgere la sua stessa immagine. Pensate… se io cammino dentro un treno in movimento, nella stessa direzione del moto, la mia velocità “effettiva”, rispetto a chi sta fermo alla stazione, è uguale alla somma della velocità del treno più quella della mia camminata. Che a dirla in termini matematici corrisponde a:

A + B = C

Tre valori diversi. Se invece potessi camminare poggiando i piedi su un raggio di luce, nella stessa direzione del moto di quest’ultimo (diciamo dal Sole alla Terra), e uno si mettesse da un lato a misurare la mia velocità effettiva, questa volta troverebbe che la somma della velocità della luce più la mia sarebbe uguale… alla sola velocità della luce. Cioè:

A + B = A

Mi ci è voluto un po’ per capirlo, ma alla fine ce l’ho fatta. Però per riuscirci ho dovuto buttare a mare quello che avevo studiato sui libri di fisica che avevo sfogliato fino ad allora. “E’ così che progredisce la scienza”, mi hanno detto. Va bene.

Ma non basta. Poco dopo sono venuto a sapere che, se in laboratorio sparate contro uno schermo con due fessure parallele un fascio di fotoni, cioè le unità elementari della luce che sono contemporaneamente sia onde che particelle (“palline”), sul muro al di là dello schermo vedrete pian piano formarsi una strana figura, detta “di interferenza”, fatta di strisce chiare e scure: è il segno che nel passare nelle fenditure i fotoni decidono di farsi soltanto onde. Se però mettete un rivelatore di particelle davanti a una delle due fessure, lo vedrete identificare un passaggio di sole particelle, mentre al di là dello schermo scompare l’immagine di interferenza. E’ come se i fotoni si accorgessero della presenza del rivelatore e, un po’ vanitosi, cercassero di nascondergli la loro seconda natura di onde impalpabili. Se allora cercherete di infinocchiare i fotoni mettendo il rivelatore dietro lo schermo, per prenderli di sorpresa, preparatevi a uno strano fenomeno. Se il rivelatore è acceso, i fotoni vengono colti come particelle e non si forma nessuna immagine con zone chiare e scure. Se il rivelatore è spento, i fotoni sorpassano bellamente le fessure e ricominciano a formare la solita figura di interferenza. In altri termini, prima ancora di arrivare alle fessure dello schermo i fotoni sanno quello che troveranno dall’altra parte. Ripeto questa frase perché è importante. Rileggetela con calma, cercando di farvi un’idea chiara: prima ancora di arrivare allo schermo, i fotoni sanno quello che troveranno dall’altra parte. La domanda è: come diavolo fanno a saperlo?

Le particelle sanno cose che a noi umani sono precluse. “E anche questa è scienza”, mi dicono. Ho imparato a scuola e a casa e frequentando l’orto di mio nonno che se prendo una mela, la taglio in due e ne addento una metà, rimettendo vicini i due pezzi rimarrà uno spazio vuoto corrispondente al pezzo di frutto masticato che si è depositato nel mio stomaco. Se invece prendo una coppia di particelle gemelle, la spacco e faccio in modo che una delle due particelle “figlie” se ne vada libera per l’universo, quando addento quella che ho trattenuto presso di me istantaneamente a quella lontana ricresce un pezzo corrispondente al morso, così che se le rimettessi insieme tornerebbero a combaciare perfettamente. Ovviamente l’esperimento reale è diverso, anche perché di una cosucola “grande” un miliardesimo di nanometro c’è poco da addentare. Però è vero che, modificando certe caratteristiche di una particella, la sua gemella (quella con cui la prima non è cresciuta assieme, ma ha convissuto a lungo legata) modifica all’istante le sue caratteristiche per mantenere inalterato il bilancio complessivo di quelle caratteristiche. Di nuovo, dopo essermi costruito mentalmente un mondo regolare, dove tutto sembra andare per il verso giusto, ho dovuto sforzarmi per accettare che a volte, anzi sempre, questi oggettini minuscoli seguono regole e comportamenti diversi, strani, assolutamente contrari a quelle che mi avevano insegnato essere leggi immutabili dell’universo. Leggi della scienza.

Quando, all’università, ho studiato genetica, ho avuto la grande soddisfazione estetica di capire com’è fatto (come era fatto, all’epoca) il DNA: un’elica, cioè due filamenti attorcigliati strettamente l’uno attorno all’altro, che con un ingegnoso alfabeto Morse trasmettono da una generazione all’altra le istruzioni per costruire le proteine e altre molecole di DNA e un’altra struttura molto simile a sé chiamata RNA, e da qui, nei viventi, tutto quel che possiamo vedere e maneggiare, cioè ossa, muscoli, foglie, sangue, petali, fegati, ali, gambe eccetera. L’elica si riproduce, o produce l’RNA, perché – mi avevano spiegato – si apre, cioè i due filamenti si allontanano quel tanto che basta perché su di loro, a stampo, si formino altri filamenti, che poi si riavvolgono a due a due per ricostituire un’elica sana, che in seguito si riapre per creare altri due filamenti, e via dicendo. Un processo che sulla Terra dura da qualche miliardo di anni, milione più milione meno, e non si è mai interrotto. Perché altrimenti ci sarebbe stato un arresto fatale nella sequenza delle generazioni fino a noi. Bene. Tutto molto bello e chiaro e logico. Ma non ci è voluto molto, questa volta, agli scienziati per capire che le cose non stanno esattamente così. Anzi, non stanno così per niente. Se un’elica si aprisse srotolandosi, come pensavano ricercatori e docenti universitari, l’attrito creerebbe un tale calore da carbonizzare all’istante il DNA, le proteine che gli stanno intorno e tutto il resto della cellula. Ci è voluto un bel po’ di altri esperimenti e alla fine è sembrato di capire che le eliche non si aprono nella maniera che si era ipotizzato. Lo fanno in un altro modo. Ma non posso dirvi quale, perché sui dettagli di questo procedimento i ricercatori non hanno ancora finito di studiare e parlano poco e malvolentieri. Evidentemente ne sanno poco.

Malgrado sia l’argomento più studiato degli ultimi 50 o 60 anni, il DNA conserva ancora molti dei suoi segreti e li svela a poco a poco. “E’ così che la scienza progredisce”, si dice: per piccoli passi, smentite e correzioni. Sentite questa… Per tanto tempo si è pensato che ci fosse un processo a senso unico che dal DNA andava alle proteine, passando per l’RNA. Era una cosa talmente sicura che questo modello è stato definito il “dogma centrale” della biologia. Un pilastro inamovibile. Invece a un certo punto si è visto che in certe condizioni l’RNA favorisce il passaggio inverso, verso il DNA. E altri dati sparsi dicono che anche le proteine, quando sono nella giusta disposizione d’animo, procedono contro mano, andando a interferire direttamente con RNA e DNA. Il dogma centrale, insomma, non vale più: contraddetto, fatto a pezzi, svanito, abrogato.

Addirittura, per quanto riguarda l’origine della vita, si pensa seriamente che possa aver avuto inizio senza il contributo fondante di nessuno dei due acidi nucleici esistenti, DNA e RNA. Tutto il lavoro invece sarebbe stato fatto dal fango, dall’argilla (e beninteso senza il fiato del vecchio barbuto di cui parla la Bibbia). Anche qui, dopo aver con soddisfazione seguito l’avventura della ricerca scientifica e imparato un sacco di cose, a poco a poco ho dovuto cambiare idea, buttar via più d’una certezza, modificarne altre e appiccicare, come tanti Post-It, tante nuove domande (curiosità) a questioni che, prima, sembravano definitive. “Ma così va la scienza”, era il ritornello.

Che l’acqua evapori a 100 gradi e che a temperature altissime gli organismi viventi muoiano svaporando carbonizzati è un’altra sicurezza, sperimentale e ragionevole. Invece è diventato falso da quando sono stati scoperti microrganismi che sguazzano contenti al calduccio dei crateri vulcanici, a molti gradi sopra la temperatura di ebollizione dell’acqua. Evidentemente hanno scoperto come impedire alla propria acqua di evaporare e a se stessi di ustionarsi. Però non ci hanno ancora detto come fanno.

L’universo, che una volta era fatto di miliardi di stelle, parecchie tonnellate di polvere, una camionata di asteroidi e un solo sistema planetario, il nostro, a poco a poco è diventato più affollato di un centro commerciale in un giorno prefestivo. Ci hanno trovato dentro di tutto, comprese galassie in formazione e stelle esaurite, buchi neri (ma buchi dentro cosa?) e corde cosmiche, molecole biologiche complesse vaganti nel nulla (ma allora come si sono formate, e perché stanno lì?) e un bel po’ di pianeti, vicino e lontano da altre stelle. Hanno scoperto che il sistema solare forse non ha tutti i pianeti che sapevamo una volta (Mercurio, Venere, Terra…), però in compenso ha tanti di quei satelliti che nessuno riesce più a tenerne il conto. Ma soprattutto oggi è chiaro che la cosa più diffusa dappertutto, nell’universo, è una cosa che nessuno sa dire che cos’è, e neppure vedere o intercettare con gli strumenti. Non è un mistero concettuale o intellettuale, ma una cosa vera, concreta, in carne e ossa. Tanto concreta che l’hanno chiamata “materia oscura”. Materia perché è come quella che ci è familiare. Oscura perché è irrimediabilmente diversa da tutta quell’altra che ci è familiare. Non bastasse ciò, anche più abbondante della materia oscura è l’”energia oscura”, indispensabile per spiegare come mai l’universo non si espande rallentando, come dovrebbe fare ogni universo ben educato, ma accelera, vedi un po’. Insomma, un bel problemino. Bello, affascinante, che si trascinerà per chissà quanti anni di ricerche e di riflessioni, ripensamenti e piccole correzioni a quello che era stato stabilito in precedenza. In ogni caso, avvincente perché “è proprio così che va avanti la scienza”.

E adesso c’è la faccenda dei neutrini. Che secondo uno strano annuncio sembrerebbero un po’ più veloci della luce. Appena un po’, non molto. Una cosetta piuttosto marginale, che fa loro risparmiare appena qualche milionesimo di secondo su un tragitto di 730 chilometri. Un vantaggio impercettibile perfino per i nostri treni ad alta velocità, per non parlare delle automobili. E poi non si è neppure veramente sicuri che un simile guadagno sia reale. Malgrado ciò, se confermato, questo dato sarebbe di un’importanza fondamentale, in quanto costringerebbe una schiera di cervelloni a una corsa incredibile per riscrivere qualche pezzo della teoria della relatività: una cosa non da poco. Ma una cosa buona e giusta, si dice, perché “è così che va avanti la scienza”: correggendosi.

Il problema, però, è che io mi sono stancato. Mi sono stancato di questo continuo studiare, capire, consolidare e poi rimettere in discussione per sostituire, cambiare, aggiungere, completare e poi smontare di nuovo e affaticarsi a ri-capire e poi ricominciare daccapo. Cercando nel frattempo di capire anche dov’è che i vecchi dati erano sbagliati e perché la ricerca scientifica aveva preso una cantonata o, più semplicemente, non si era accorta che… Mi sono stancato di questo continuo correre appresso agli annunci, fatti per preparare il mondo a riassestare tutte le conoscenze e l’immagine del mondo (e quindi anche l’immagine di sé e della vita) che uno si era fatto in precedenza con – lasciatemelo dire – un bel po’ di onesta fatica intellettuale. Perché anche l’attività intellettuale affatica.

Bene, di fronte a questa ennesima prospettiva di dover rimettere in discussione le basi su cui è costruito tutto il resto (ché matematica e fisica sono i pilastri sui quali si appoggia l’edificio della cultura moderna), penso non ci siano altre possibilità che queste: o dimenticare decenni di studi e prepararsi a esaminare e studiare nuovi trattati, articoli scientifici, commenti e interviste agli esperti, con il rischio magari di scoprire – troppo tardi – che l’annuncio sui neutrini andava ridimensionato, come è successo decine di volte negli ultimi anni per casi analoghi, oppure trovare il modo di costringere questi frettolosi neutrini a rispettare in buon ordine la velocità della luce, senza fare tante storie e senza ambire a diventare i primi della classe.

Per quel che mi riguarda, non ho dubbi: per favore, fermate quei neutrini.

 


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