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88. Sul lungofiume

Da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 13, 2012

da qui

- E’ più forte di te, Dante, non sai scegliere.
- E’ questo l’aiuto che mi dài?
- Ti ho portato qui per capirci qualcosa, per associare anima e paesaggio, l’unico modo, a volte, per strappare una notizia in più dal pozzo dell’inconscio.
Quai des Celestins si affaccia sulla Senna. Ti ha chiesto di guardare, e basta. La prima cosa che noti è il muretto grigio che separa la strada dall’ansa verde del fiume.
- Lo vedi? Hai messo una barriera fra te e la tua vita.
- Aspetta, c’è qualcosa che mi attrae di più.
Ti fermi sotto l’ombra dell’albero. Siete là, caduti da chissà quale pianeta. Lei ha la camicetta rosa, il sorriso appena accennato di chi non vuole sbilanciarsi. Attende che tu dica – o faccia – qualcosa. Cosa accade in quei momenti? Senti il suo odore, così riconoscibile, eppure misterioso. Perché non glielo hai detto subito? Perché l’hai illusa per tutto questo tempo? Ha capito solo quando ti è sfuggito il nome della sua rivale; non te l’ha perdonato, anche se tornava, ogni volta, come attratta da qualcosa che non riusciva mai a spiegarsi.
- Cosa?
- Quest’albero: è uguale a quello dove ho baciato Sonia per la prima volta.
La camicetta era aperta leggermente, intravedevi un seno piccolo e sodo, che ti faceva venire il capogiro. Cosa cercavi in lei? Esiste sempre un oltre, un muro basso al di là del quale immagini un fiume con le banchine gravide di muschio, i battelli gremiti di turisti, il ponte, là in fondo, che promette di unire ciò che è separato.
- Cosa ti dava?
Solo adesso ti chiedi se fosse il sole della primavera, o il nuovo che  lei rappresentava, o il corpo che appariva come una statua in marmo morbido, un sogno tutto bianco che avresti scoperto a poco a poco; o forse niente di questo: piuttosto, il desiderio di evadere da te, di ribellarti al moralismo di tua madre, allo sguardo severo di tuo padre; forse Sonia era un pretesto per scavalcare il muro e correre lungo le sponde umide del fiume, sentirti libero come un barbone, un altro Rutger Hauer che dorme sui giornali e ogni tanto apre gli occhi azzurri umidi di lacrime – ci si commuove a osservare l’acqua che scorre, il pesce che salta all’improvviso, la donna che cammina lentamente con le buste della spesa. Ti chiedi se anche tu sia un vagabondo che finge di adattarsi alla vita e invece vorrebbe stare qui, sulla banchina di Quai des Celestins, sul lungofiume dove manca ogni risposta, dove restano solo domande avvolte nella nebbia del mattino, quando ti alzi a fatica dal tappeto dei giornali e ti accendi la prima sigaretta, sognando d’incontrare una donna con la camicia rosa mezzo aperta, che non dice una parola, non si sbilancia, ti guarda illusa di aver trovato finalmente l’uomo della vita, finché non la chiami con un altro nome e te la fa pagare, apparendo quando meno te lo aspetti, quando pensi che non torni più, e ti scappa una lacrima toccando il muschio che cresce a vista d’occhio, osservando il battello che salpa lentamente col suo carico di turisti sudati, ognuno con un sogno o una sua disperazione, e non hai più dubbi: sei tu il barbone che dorme sulle rive della Senna e ogni tanto scavalca il muretto per fermarsi sotto l’albero, dove forse Sonia tornerà e nemmeno allora saprai se è il sole a primavera o il corpo da statua o la tua voglia infinita di fuggire a fartela volere come mai, a non permetterti di dimenticarla nemmeno per un attimo.


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