Villa Garth, Isla Hispaniola, primavera 1672 Sbirciando dalla tendina di velluto, Blanca si era guardata attorno spaesata. Non immaginava che la servitù schierata aspettasse il suo arrivo, Cecil Garth aprì lo sportello per aiutarla a scendere e lei, deglutendo a fatica, afferrò la sua mano. Quello era suo marito, l'uomo che aveva appena sposato, che l'aveva portata via da Tortuga. Nelle notti precedenti erano giaciuti assieme e questo accresceva la loro intimità, ma a lei importava ciò che il vecchio aveva promesso la prima notte, dicendole che sarebbe diventata una signora. Intendeva istruirla per bene e chiamare precettori qualificati che le insegnassero il necessario per vivere in società, a Port Royal. Per Blanca era già un sollievo sapere che non sarebbe stata rivenduta a un bordello ma Cecil le aveva spiegato che aveva un giro d'affari a Tiburon e gli serviva una moglie oriunda che sapesse lo spagnolo ed entrasse in confidenza con le mogli dei suoi clienti. Blanca aveva quattordici anni ma abbastanza esperienza da comprendere il signor Garth, che le chiedeva sostanzialmente di far la bella statuina al suo fianco. Avanzando verso la villa, la ragazzina sentiva il cuore battere veloce, era stordita e le figure attorno vorticavano, ma Cecil le teneva ancora la mano. Un uomo in livrea verde, dall'età indefinibile, abbozzò un sorriso comprensivo e amichevole, e Blanca lo fissò con gratitudine. Dentro di sé però era diffidente: doveva ricordarsi che era lontana da suo padre ora, che a Cape Tiburon nessuno la conosceva e lei non si poteva fidare. A piccoli passi, impacciata dalla sottogonna vaporosa e dalle scarpe un po' strette, Blanca e il marito raggiunsero l'atrio in penombra ed entrarono in un salotto. Mentre gli uomini tornavano al loro lavoro e le domestiche si occupavano delle loro mansioni, Cecil la aiutò a slacciare il cappellino: -Siamo a casa, cara. Da ora sarò felice di esaudire ogni tuo desiderio, e non appena ti sarai sistemata, manderemo a chiamare tua sorella Anna, che ti faccia compagnia. Ho mantenuto le mie promesse?-, le domandò l'uomo chinandosi su di lei. Blanca doveva abituarsi a quelle effusioni, non era certo stata baciata spesso, mentre Cecil pareva prediligere quell'occupazione. Con fare disinvolto lei gli aveva offerto la guancia e si era trovata ad ammirare il giardino. Lasciando il bacio del marito a mezz'aria, gli era sgusciata dalle braccia per correre verso la finestra ma, proprio a causa del pavimento incredibilmente lucido e le scarpe nuove, Blanca scivolò. Si svolse tutto in modo fluttuante, mentre slittava all'indietro, le parve persino che le calze di seta, articolo mai indossato prima, si sfilassero. Allargò le braccia per mantenere l'equilibrio, ma ormai era andata, le mancò la terra sotto i piedi e pur sforzandosi di trovare un appiglio, artigliò solo il pizzo sulla spalliera della poltrona, rovinando a terra in modo goffo, in una nuvola di vesti e sottogonne, letteralmente strozzata dal busto stretto che le mozzò il respiro. Si trovò a gambe all'aria, insomma. Il dolore alla schiena esplose lancinante e, presa alla sprovvista e in preda all'imbarazzo, Blanquita si lasciò scappare un'imprecazione colorita e degna di uno scaricatore di porto. Il marito la zittì, tuonando un rimprovero che fece tremare i vetri e rimbombare la stanza. Blanca alzò la testa verso di lui, che la sovrastava, e per la prima volta capì che sotto la scorza tenera di Cecil, c'era un qualcosa di spietato che non conosceva, una durezza che ora la stava mettendo in guardia. Mordendosi il labbro, la bambina comprese il terribile sbaglio e aprì la bocca per rispondere, ma lui la inchiodò al suolo con lo sguardo, riprendendola come se fosse stata un cagnolino disubbidiente: -Mai più, Blanca. Mai più!- Lei sospirò, annuendo, e cercò di ritrovarsi le gambe in quella nuvola di tessuto per rimettersi in piedi e una mano bruna e magra fu tesa in suo aiuto. Lei alzò gli occhi, era il servitore in livrea verde, che poco prima aveva incrociato il suo sguardo. Impaurita, Blanca si voltò verso Garth che lisciandosi la fronte fece un cenno d'assenso. Arrossendo, lei afferrò la mano tesa del domestico, che aveva la pelle scura come il caffè e alla luce del sole sembrava meno giovane: -Grazie. - sussurrò vergognosa. Quello fece un inchino senza smettere d'incoraggiarla con gli occhi, mentre Cecil spiegava: -Questo è Salvador, il mio valletto. Per qualsiasi cosa, rivolgiti a lui. Puoi andare, ora. -, l'uomo si allontanò e lei, rimasta nuovamente sola con Cecil, si volse tremando. Si disse che non doveva dimenticare quello sguardo, ma lui la sorprese, mostrando gli occhi lucidi: -Non volevo gridare, mi perdoni?- Lei sorrise: come avrebbe potuto fare altrimenti? 08 marzo 2011 foto giardino copyright di Amelia Kalbi
Pubblicato da blanca.mackenzie | Commenti (2) Tag: antefatti, cape tiburonMagazine Libri
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