Sono arrivato a Glasgow, dove passerò l’intera settimana per uno dei miei viaggi in solitaria per il mondo.
Molti mi dicono che non riuscirebbero mai a partirsene tra sé e sé, e mi chiedono come faccio, a girare in paesi stranieri senza qualcuno accanto.
Non so.. sarà che grazie al cielo (e grazie soprattutto al mio compagno) nella mia vita di ogni giorno mi sento tutt’altro che solo; sarà che quando sono altrove amo sempre fare di testa mia, vedere ciò che mi va, disporre del mio tempo libero come meglio mi aggrada, e in questo il condividere l’esperienza con altri può rappresentare un vero ostacolo, ma ho sempre pensato che, quando ci si sposta per lavoro come avviene nel mio caso, non c’è mai miglior compare di viaggio di se stessi.
Eppure ieri sera, dopo una passeggiate in riva al Fiume Clyde con l’ipod come unico accompagnatore, mi sono ritrovato in una brasserie a spartire la mia onion soup con un dubbio amletico.
La cliente del ristorante seduta nel tavolo di fronte al mio (vedi foto), anch’ella senza qualcuno a tenerle compagnia se non un hamburger di manzo scozzese DOC, aveva deciso di farsi accompagnare a cena fuori da un romanzo, e ha condiviso l’intero pasto con un thriller in edizione paperback.
Così io, che sono un notorio onnivoro di narrativa capace di leggere ovunque, mi sono chiesto se fosse una buona idea, quella di uscire a cena con qualche bravo autore (nel mio caso, si sa, rigorosamente in versione kindle). E dopo aver assaggiato tutti i pro e i contro della questione (con quell’ottimo retrogusto di cipolla e pepe nero), ho deciso che No, la letteratura e il cibo sono due piaceri che non vanno mischiati, si rischia di confondere i sapori, e di non godersi più né l’uno né l’altro.
Insomma continuerò per tutta la settimana ad andare a cena da solo, e a lasciare Maupassant e Philip Roth in albergo, pronti sul letto, in attesa che io, sazio di me stesso, ritorni in camera a cercar la loro compagnia.