A Eugenio Scalfari non piace più Matteo Renzi
Oggi Eugenio Scalfari, dalle pagine di Repubblica, ci ha deliziato con uno dei suoi interminabili editoriali.
Il grande vecchio del giornalismo italiano – compagno di banco di Italo Calvino, aneddoto che dimostra definitivamente (semmai ce ne fosse bisogno) che il genio non si acquisisce per contatto o prossimità -, per non dire quasi nulla ha spaziato tanto superficialmente quanto caoticamente tutto lo scibile della modernità filosofica: è partito solennemente da Montaigne per raggiungere un drammatico acme nichilista con Nietzsche fino a precipitare rovinosamente su Walter Veltroni.
Questa curiosa e personalissima parabola ermeneutica – che offre nuovi e grotteschi orizzonti di significato alla frase “volo pindarico” – è servita a Scalfari per dire semplicemente che in un periodo dove l’accelerazione mediatica polverizza ogni capacità di critica e di analisi, Renzi gode di un pericoloso quanto immeritato culto della personalità (in pieno stile italiota aggiungerei), in quanto in Europa ha ottenuto poco o nulla – anche se l’informazione di regime continua imperterrita a tessere le sue qualità da gladiatore panchinaro. Per dirla breve, Renzi, come Suarez con Chiellini, ha avrà pure morso la Merkel ma sull’osso, compromettendo così i suoi imbarazzanti incisivi.
Anche sul fronte delle riforme Scalfari ci va giù duro: la riforma del senato voluta da Renzi – ricorda il mammasantissima di Repubblica – ci spingerà verso un autoritarismo senza precedenti, perché toglierà aria alla democrazia diretta per dare respiro a un potere esecutivo che assumerà sempre più le fattezze di un cancellierato.
Dunque la trasformazione del Senato in una camera delle autonomie (anche se sarebbe più corretto dire che verrà trasformato in una camera delle immunità: una piacevole, amena e costosissima anticamera delle impunità dove parcheggiare comodamente gli amici in attesa di giudizio) è dunque un pericoloso attacco alla democrazia del Paese. anche qui Scalfari arriva in lieve ritardo, visto che costituzionalisti del calibro di Rodotà e Zagrebelsky – puntualmente dileggiati – lo stanno gridando ai quattro venti da sei mesi.
Eppure, poco più di un mese fa, lo stesso Eugenio Scalfari dedicò un’intera “messa cantata” domenicale a favore del Pd per le europee. Per il fondatore di Repubblica era necessario dare sostegno a Renzi affinché l’ala riformatrice che faceva capo a Shultz avesse più potere in Europa. Era di vitale importanza che si facesse quadrato intorno al Fonzie nazionale per arginare il più possibile la certa vittoria dei popolari filogermanici in Europa, dando così vita a una autorevolissima opposizione.
C’è da dire che la chiamata alle armi di Eugenio è stata accolta, il Pd ha stravinto, ma chi mai avrebbe immaginato che Renzi avrebbe appoggiato il lussemburghese Junker dando così un sono schiaffo al millantato amico di sempre Cameron? Forse solo il candito e benpensante Scalfari è stato colto da deludente sorpresa.
Certo, il fighetto in sovrappeso gira per il parlamento europeo tutto ganzo, e invece di stringere la mano si esibisce in postmoderne pacche all’americana (se solo Montaigne lo vedesse ne sarebbe fiero), ma a conti fatti si è rivelato come un’autorevole quinta colonna dei popolari all’interno del partito socialista europeo.
Il patto si stabilità e il pareggio di bilancio sono rimasti pressoché immutati, il 2015 resterà l’annus orribilis del continente – nonostante le sterili e presunte frecciatine di Renzi alla Cancelliera -, il trattato di Lisbona è divenuto lettera morta e lo strapotere teutonico è stato non solo confermato ma addirittura consolidato, non si muove foglia che Angela non voglia (il postmodernismo contemporaneo ha solo tramutato il Lebensraum di infausta memoria in una sorta di schiacciante e antidemocratico Lebenwirtschaft ).
Peccato, anche questa volta il grande vecchio del giornalismo italiano non ha passato l’esame per diventar profeta.
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