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A gennaio fiera italiana a Teheran. Possiamo davvero chiamarlo “usual business”?

Creato il 02 gennaio 2015 da Nopasdaran @No_Pasdaran

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Dalla stampa iraniana – e non da quella italiana – apprendiamo che oltre 30 imprese italiane stanno per volare a Teheran. Tra il 5 e l’8 gennaio, infatti, la capitale iraniana ospiterà una Fiera Internazionale, interamente dedicata all’Italia (Irna). L’obiettivo è chiaro: aumentare al massimo il business tra Italia e Iran. Sull’onda di quanto dichiarato dall’ex Ministro degli Esteri Emma Bonino, quindi, Roma sembra davvero voler “vincere la gara di amicizia” con la Repubblica Islamica. Una corsa verso la vittoria che, secondo i dati diffusi dall’Eurostat, ha portato l’interscambio tra i due Paesi a 179 milioni di euro (il doppio rispetto all’Ottobre del 2013).

A questo punto sorge spontanea una domanda: per quanto sia ovvio che l’Iran sia un mercato appetitoso, possiamo davvero chiamare questa “corsa italiana a Teheran” come “il solito business”? Possiamo davvero accettare, in silenzio, che la Repubblica Islamica rientri nel gioco europeo usando “la porta d’ingresso” dell’Italia (parole di Hassan Rouhani)? A nostro parere, l’unica risposta che si può dare a queste domande è un secco “NO”. Sappiamo benissimo che il business segue logiche che, quasi sempre, vanno oltre il rispetto dei diritti umani e dei valori democratici, ma riteniamo comunque che in Italia debba partire una forte riflessione su quanto sta accadendo.

L’Italia, vogliamo ricordarlo, è un Paese di forte tradizione cattolica, la cui Repubblica è sorta sulle rovine di un vergognoso regime quale quello fascista. La Repubblica Islamica, nella versione imposta dall’Ayatollah Khomeini, rappresenta dal 1979 uno dei peggiori regime mondiali. Senza entrare troppo nei dati storici, vogliamo parlare unicamente di quanto accaduto in Iran dall’elezione di Hassan Rouhani alla Presidenza: oltre 1000 prigionieri sono stati impiccati, oltre 40 cristiani sono detenuti nelle carceri iraniane, senza contare le persecuzioni contro i Bahai, i sunniti, i giornalisti e gli attivisti che hanno manifestato contro le repressioni dei Pasdaran. Non vogliamo, infine, dimenticare gli oltre 380 attacchi con l’acido contro le donne iraniane, accusate di non portare il velo nella giusta maniera. Si badi bene: non sono dati di nostra invenzione, ma sono i numeri diffusi dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto dall’inviato speciale della Nazioni Unite per i Diritti Umani in Iran, Ahmad Shaheed.

L’Italia, ci teniamo a sottolinearlo, è in prima fila nella lotta in favore della Moratoria Internazionale Contro la Pena di Morte. Solamente pochi giorni fa, con somma soddisfazione dell’attuale Ministro degli Esteri italiano Gentiloni, le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione in favore della Moratoria stessa. Teheran, ovviamente, non ha sostenuto questa mozione, bollandola come un “complotto occidentale”. Secondo i dati diffusi dalla Ong Iran Human Rights Documentation Center, solo nel 2014 la Repubblica Islamica ha impiccato 707 prigionieri. Di queste esecuzioni capitali, il regime ne ha ammesse solo 242. A questi numeri vanno aggiunti altri 7 detenuti, impiccati il 31 dicembre nel carcere di Orumieh…Il regalo di capodanno dei Mullah…

Ora, la domanda che ci poniamo e che rivolgiamo alle autorità italiane è una sola: ma davvero l’Iran merita tutto questo? Ma davvero in nome degli interessi economici è possibile mettere da parte in questo modo il rispetto dei diritti umani? Solo pochi giorni fa il regime ha ricordato e celebrato il 9 di Dey, ovvero la manifestazione in favore della Repubblica Islamica organizzata dal regime il 30 dicembre del 2009. In quella occasione, lo stesso Hassan Rouhani ha elogiato le repressioni messe in atto dai Basij e dai Pasdaran, contro i manifestanti dell’Onda Verde, il movimento sorto per protestare contro l’illegale rielezione del negazionista Mahmoud Ahmadinejad. All’epoca, l’intero Occidente condannò le repressioni e convocò gli ambasciatori iraniani. Cosa è cambiato oggi? La risposta è, ancora una volta, una sola: non è cambiato nulla, forse solo la memoria – spesso troppo corta – dell’Occidente…


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