Il video sulle docce disinfettanti in un centro di accoglienza di Lampedusa, girato con un telefonino e mandato in onda in esclusiva dal Tg2, ha sollevato un moto di indignazione pressoché unanime e generato una ridda di dichiarazioni da parte di tutti, manca solo quella del maggiordomo di Porta a Porta.
L’impatto è abbastanza forte, questo è innegabile, e la considerazione che viene in mente ad una persona con un minimo di buon senso è che, emergenza per emergenza, sovraffollamento per sovraffollamento, una tendina da campo per effettuare le irrorazioni di disinfettante sarebbe costata veramente poco.
Uomini e donne completamente nudi cosparsi di disinfettante con una lancia, come fossero carne da macello o macchine in coda all’autolavaggio, sono uno “spettacolo” non proprio degno di un paese civile, poi bisognerebbe chiedere a chi, in altre condizioni e per altri motivi, effettua queste operazioni come vadano effettivamente svolte.
A parte l’abuso del termine “shock” da parte delle testate giornalistiche (che lo usano anche per le foto estive della cellulite di qualche vip), il video della disinfestazione di Lampedusa, per il quale si è scomodato allegramente anche il termine “lager”, però dovrebbe far riflettere anche su cosa significhi sovraffollare l’isola ammassando di fatto le persone con un’accoglienza a maglie larghe.
Dovrebbe anche far riflettere su chi guadagna dall’immigrazione (onlus e organizzazioni varie che godono di contributi) e che probabilmente ha poco interesse che il fenomeno diminuisca.
Il rischio poi è che tutti si indignino per il mancato rispetto della privacy degli “ospiti” dei centri di accoglienza senza affrontare il problema alla base, nel pieno stile italiano di coloro che guardano con molta attenzione il dito invece che una gigantesca Luna piena da questo indicata.
E l’”europa”, volutamente in minuscolo, forse è meglio che stia zitta, giusto per una questione di dignità, e forse anche il ministro dell’integrazione.
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