Secondo la gran parte dei commentatori italiani la sentenza di assoluzione di Erri De Luca rappresenta una vittoria della giustizia, il riconoscimento del diritto alla parola, l'affermazione della libertà d'espressione.
Ma, soprattutto, rappresenta una sentenza "giusta".
Per i giudici di Torino che hanno emesso questa sentenza le parole pronunciate dallo scrittore napoletano non vanno considerate un'incitazione a commettere un reato (istigazione a delinquere).
"Il fatto non sussiste" (questa la formula utilizzata dai giudici) vuol dire che nelle parole pronunciate da De Luca non c'era alcuna istigazione a commettere un reato, e quindi non c'era alcun reato.
Secondo me, invece, ad aver vinto a Torino è, ancora una volta, l'idea che in questo Paese possa essere consentito ad alcuni (in nome di qualcosa che sarà sempre possibile trovare, come la grida favorevole che cercava affannosamente l'avvocato Azzeccagarbugli) di non rispondere delle conseguenze dei loro comportamenti.
Ad aver vinto a Torino è l'idea che ad alcuni (solo ad alcuni, alla faccia della nostra Costituzione) possa, debba, essere riconosciuto il diritto ad essere irresponsabili.
E poco importa che si arrivi anche, con arroganza, alla provocazione (significative le parole pronunciate in aula da De Luca poco prima della sentenza, sempre, sia chiaro, in nome della famosa libertà d'espressione).
Quanto poi al considerare giusta una sentenza solo se favorevole, ritengo si sia di fronte ad una vera aberrazione: una sentenza è giusta solo se afferma la verità, e questo indipendentemente dalle conseguenze che da questa possano derivare.
Il vero problema che vedo nella sentenza di Torino non è nel non aver riconosciuto reato pronunciare certe parole ma nel non considerare responsabile delle conseguenze che certe parole possono provocare chi quelle parole le pronuncia.
Ed i primi ad avvertire questo grave rischio dovrebbero essere proprio gl'intellettuali, che invece rivendicano per sé, in quanto intellettuali, il diritto ad essere irresponsabili, il diritto all'impunità (e questo in un Paese che, com'è noto, alla punizione preferisce il perdono).
Molti di questi intellettuali (spesso solo sedicenti tali) si considerano, in nome della libertà d'espressione, esenti da responsabilità, anche se le loro parole, i loro comportamenti, dovessero funzionare da innesco, anche involontario, di un'esplosione.
Chi accende un fiammifero in un ambiente saturo di gas (pur essendo consapevole della natura di quell'ambiente) compie un'azione che è ben diversa se quella stessa azione la compie per accendere un bruciatore di un fornello a gas.
L'azione è la stessa (l'accensione del fiammifero) ma le conseguenze che questa provoca, in funzione dell'ambiente nel quale avviene, sono ben diverse!
Ma, evidentemente, questo è un Paese che rifiuta le responsabilità e al quale la Storia non insegna nulla.
P.S. L'Italia è un Paese davvero singolare: vengono sottoposte a processo persone che lo stesso processo riconosce non aver commesso alcun reato (persone che quindi non avrebbero dovuto essere processate) mentre persone che commettono reati (vedi l'apologia di fascismo) non vengono sottoposte ad alcun processo.
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